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Omar Camporese, storia di un turbo dritto bolognese

I giovanissimi non lo ricordano, ma chi ha seguito il Tennis a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ricorderà di un giovane bolognese con la faccia da bravo ragazzo, che tirava potenti dritti ad uscire.

Omar Camporese, il cui nome di battesimo è da ascrivere alla passione juventina del padre che lo ha chiamato così in omaggio a Sivori, è stato il miglior tennista italiano del suo tempo, insieme a Paolo Canè, con il quale ha condiviso epiche battaglie in Coppa Davis. Omar è stato un top 100 ininterrottamente dal 1989 al 1993 (quasi sempre top 50), uscendone per infortunio e non trovando più lo spunto per rientrarci. I tifosi lo ricordano per uno spaventoso dritto “anomalo”, ribattezzato turbo-dritto dal Bisteccone Nazionale.

Ha vinto due tornei di buon livello, entrambi indoor: Milano nel 1991 e Rotterdam nel 1992, eliminando rispettivamente Ivanisevic e sua maestà Ivan Lendl. Le sue caratteristiche lo rendevano predisposto a dare il meglio sul veloce. Negli slam non si ricordano sui memorabili acuti, al più ottavi di finale a Melbourne 1992. Sicuramente Omar dopo i pregevoli risultati raggiunti che lo portarono nei primi 20 (1992), avrebbe potuto scrivere molte altre belle pagine di tennis, se non fosse stato irrimediabilmente fermato dagli infortuniLa spalla non gli ha dato tregua a partire dai 25 anni, togliendogli la parte generalmente più proficua della carriera di un tennista. Ma ciò nonostante ci ha lasciato alcuni squarci di tennis che oscillano tra l’epico e il leggendario, giocando delle partite incredibili.

Vale la pena ricordarne alcune: Australian Open 1991, secondo turno contro Boris Becker, all’epoca ai vertici assoluti del tennis mondiale. Vince il tedesco in oltre 5 ore di gioco, 14-12 al quinto set, con Omar che si concede anche il lusso di prendersi un parziale per 6-0. Aveva 23 anni; il futuro era suo. L’anno dopo si ricorda una memorabile lezione agli spagnoli Bruguera e Sanchez in coppa Davis sul tappeto blu di Bolzano. Omar umilia i due iberici (entrambi all’epoca a ridosso della top ten) con punteggi severissimi, giocando un tennis spaziale, senza sbavature, fondato anche su un gran bel servizio. Nel 1993 infine, i seguaci delle maratone di Coppa Davis ricorderanno certamente la super-maratona contro il brasiliano Luis Mattar in quel di Maceiò, vinta dopo più di 6 ore di gioco (cosa che non servì ad evitare l’eliminazione ad opera dei brasiliani). Ancora oggi è di gran lunga la più lunga partita di Coppa Davis giocata da un atleta azzurro. 

Da lì in avanti la luce si spegne. Nel 1994 mette in fila un’impressionante serie di eliminazioni al primo turno, e a Palermo nel 1995 regala l’ultimo acuto, se così si può dire, ai propri tifosi raggiungendo le semifinali dopo aver eliminato un paio di terraioli e perdendo dallo spagnolo Burrillo.

Cronaca di quel che poteva essere e non è stato. Non un incompiuta certo, ma un progetto lasciato a metà, per colpa della sfortuna. Oggi guardando la situazione del tennis italiano maschile, abbiamo ottimi motivi per rimpiangerlo.

Peppe Arnone

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