In Italia l’idea stessa di arbitro si trascina dietro un voluminoso polverone di pregiudizi e intolleranze, causato dall’invadente e predominante concezione pan-calcista dello sport, che stigmatizza la figura dell’arbitro. Un ruolo che dunque non gode minimamente di buona fama e di rispetto, ed è epicentro di polemiche, disapprovazione e lamentele.
Nel tennis il discorso cambia notevolmente, ma quella dell’arbitro resta pur sempre una figura distante, poco apprezzata, mai al centro di simpatie o affetto. Sono personaggi seri e seriosi, impassibili, morigerati, mai sopra le righe, intransigenti… personaggi che ovviamente faticano ad attrarre particolari simpatie e restano ancorati al loro ruolo di professionisti, distaccati da ogni altra dimensione. Ma lui no: Mohamed Lahyani non rientra certamente in questa categoria. Con il passare degli anni è diventato una vera star del tennis; nonostante il suo ruolo da comprimario è riuscito a conquistare la fama di un vero top-player, grazie al suo approccio atipico e al suo atteggiamento non convenzionale.
Ma chi è Mohamed Lahyani?
Svedese, di origine marocchina, diventa presto giudice di tennis, e già nel 1997, a 31 anni, ottiene il certificato Gold dall’International Tennis Federation (la massima certificazione possibile). Inizia dunque la sua avventura nel grande tennis, in cui negli anni riesce ad imporsi tra i giudici migliori. In carriera ha sempre preso parte ai principali appuntamenti della stagione tennistica e a tutti i tornei del Grande Slam, riuscendo anche ad arbitrare la finale di Wimbledon del 2013 (vinse Murray contro Djokovic). Sempre nel torneo londinese fu uno dei protagonisti del match più lungo della storia del tennis, disputatosi tra il 22 e il 24 giugno 2010, in cui John Isner e Nicolas Mahut lottarono strenuamente per ben 11 ore e 5 minuti, spalmate su tre giorni. In quei tre giorni si alternarono otto squadre di raccattapalle, ma lo stoico Lahyani rimase saldamente al comando del suo seggiolone, rifiutando le proposte di sostituzione.
Nel 2018, durante gli US Open, nel match di terzo turno tra Nick Kyrgios e Pierre-Hugues Herbert, è stato al centro di insistenti polemiche a causa di un insolito (a dir poco) episodio: sul punteggio di 6-4, 3-0 per Herbert, il giudice di sedia scende dalla sua postazione per andare a motivare Kyrgios. L’australiano, infatti, sembrava scoraggiato e ormai arreso; mosso da romanticismo tennistico, Lahyani si avvicina a lui e lo incoraggia paternamente. Ironia della sorte, Kyrgios ribalta improvvisamente il risultato e si porta a casa la vittoria e il passaggio del turno. Herbert nella conferenza stampo post-partita avvia una lunga fase di polemiche contro l’arbitro, che inizialmente non portano a nessuna sanzione, poi però, il 19 settembre, l’ATP decide di sospenderlo per due turni.
Ma perché Mohamed Lahyani è così amato?
Personalità eccentrica, atteggiamento sempre cordiale e amichevole, spontaneità… tutte caratteristiche che con il tempo ci hanno fatto affezionare a questo personaggio così insolito nell’ambiente degli arbitri. Lahyani è diventato un autentico divo fuori dal campo, quasi al pari dei giocatori di cui dirige le partite, grazie anche a quel suo stile unico di arbitraggio; chiamare il punteggio, fare overrule o semplicemente segnalare un net: quando sulla sedia c’è lo svedese è sempre uno show.
C’è chi lo accusa di protagonismo: un interprete secondario che tenta ad ogni costo di diventare protagonista, pur sapendo di non poterlo mai essere. Probabilmente il suo atteggiamento talvolta suggerisce anche questa interpretazione, ma la sua simpatia, la sua genuinità, i suoi ammiccamenti ai giudici di linea e ai raccattapalle, il suo tono di voce, il suo modo di rivolgersi al pubblico e ai giocatori… non possono che spingerci a volergli bene.
Mohamed Lahyani l’arbitro sopra le righe, la stella del seggiolone, l’unico comprimario capace di conquistare un posto tra i protagonisti, l’unico arbitro osannato dalla folla, che firma autografi e scatta selfie.
Mohamed Lahyani: non il giudice di sedia che meritavamo, ma quello di cui avevamo bisogno.