Tra l’idolo Sampras e il sogno Wimbledon: a tutto Raonic

Milos Raonic al porto di Fontvielle, Monte Carlo, luogo di residenza.

E’ un pomeriggio di sole a Monaco, tra tintinnii di bicchieri e posate al Beefbar, donne in forma e signori che si gustano un buonissimo e lungo pranzo. Bistecche spesse, sottili calici e fiumi di champagne, ma Milos Raonic, riflette e parla dettagliatamente di una vita vissuta tra i Balcani, il Canada e i campi in erba d’Inghiterra.

L’ERBA NEI SOGNI – Raonic, numero nove del mondo, appare riflessivo quando veste i panni di un bambino che sognava di giocare a Wimbledon: “Era un sogno per me diventare un giocatore di tennis” – dice – “Uno di quei sogni per cui ti svegli nel bel mezzo della notte dopo aver immaginato di sollevare il trofeo di Wimbledon. E’ successo. Ero realista a riguardo? No, ma chi lo è a 12 o 13 anni? La mia prospettiva e i miei obiettivi sono cambiati. Se si guardano le interviste che facevo a 16 anni, dicevo di voler diventare un giocatore solido e stabile in top-50. Ci sono riuscito e sono anche stato tra i primi quindici o dieci per molto tempo. Sento di essere ancora più forte adesso e i miei obiettivi hanno preso forma.

MCENROE PER RIPARTIRE – Raonic è probabilmente l’unico tennista professionista ad essere in grado di svolgere un’intervista con riferimenti artistici ad Ai Weiwei ed Andy Warhol. Tuttavia, la semifinale a Wimbledon del 2014 e la finale sfiorata agli Australian Open di quest’anno dopo una battaglia al quinto set con Andy Murray, rendono Milos Raonic un uomo dal grande credo sportivo. La sua decisione di ingaggiare John McEnroe come coach aggiuntivo quest’estate suggerisce quanto le sue intenzioni a Wimbledon siano serie. L’ex campione statunitense, che ha vinto tre volte a Londra, ha detto al New York Times: “Penso che possa vincere. Spero di potergli dare qualche consiglio su come sfruttare al meglio le sue potenzialità e la sua altezza“. Raonic è intelligente e più complesso di quanto possa apparire nelle sue blande conferenze stampa. Ha reagito in questo modo all’annuncio di McEnroe riguardo la loro partnership: “Ogni allenatore che ho è un consigliere. E’ il mio lavoro scegliere cosa è meglio per me. Sono il CEO della Milos Raonic Tennis.

“MOYA’ E’ RILASSATO” – Questa dichiarazione ha le sue radici nel corso di laurea in finanza che Raonic ha deciso di iniziare su consiglio dei suoi genitori, dubbiosi della sua decisione di diventare un tennista professionista a 18 anni, sette anni fa. Sul campo Milos sembra che utilizzi una mannaia quando esegue il servizio, mentre qui al Beefbar di Monte Carlo, sembra più un fluido pensatore che un macellaio. Raonic ha tre allenatori ed è curioso come ognuno di essi abbia un ruolo specifico: se McEnroe aiuterà con le strategie di gioco per l’erba e l’esperienza di un vincitore di sette Slam, Carlos Moyà e Riccardo Piatti hanno diverse funzioni. “L’allenamento è molto importante a questo livello” – dice Raonic – “Carlos è molto più rilassato di me. Ha la mentalità maiorchina e mi ha insegnato a non dare importanza alle cose che mi distraggono mentalmente e alle quali non devo dare ascolto.

Milos Raonic ed Andy Murray dopo la splendida semifinale agli Australian Open del gennaio 2016, persa dal canadese per 4-6 7-5 6-7(4) 6-4 6-2

RICCARDO PIATTI IL VERO COACH – Raonic ammette che la sua intensità l’ha aiutato a smettere di serrare i denti e la presenza rilassata di Moyà, numero uno del mondo per un periodo, è positiva. Ma insiste sulla differenza tra McEnroe e Moyà da una parte e Piatti dall’altra. “C’è un limite con gli ex giocatori. Possono aiutarti, ma lo fanno grazie alla loro esperienza nel tour. Mentre Riccardo è un coach vero e proprio, ama stare sei ore sul campo. Ad un giocatore ritirato non piace stare sul campo più di tanto, mentre a Riccardo farebbe piacere anche allenare un bambino di cinque anni. Il bambino colpirebbe la palla ovunque e Riccardo recupererebbe quelle palle per due ore, prima di iniziare con me. Ad essere onesti, probabilmente ama più questo aspetto del suo lavoro che lavorare con i professionisti. E’ una mentalità molto diversa rispetto a quella di un paio di ex giocatori, ma è importante avere a che fare con entrambe.

QUELLA SEMIFINALE CON MURRAY… – Le potenzialità di vincere un torneo del Grande Slam sono state evidenti quest’anno in Australia. Ha battuto Roger Federer a Brisbane e poi Stan Wawrinka agli Australian Open, prima di dominare Andy Murray per due set a uno in un’epica semifinale: “Stavo giocando alla grande, era senza dubbio il miglior tennis che io abbia mai giocato. Ma sono cominciati i problemi all’adduttore nel terzo set. Ho cominciato a sentire tensione ma mi sono detto: ‘Ok, è solo stanchezza… andiamo avanti’, e nel quarto set è iniziato il dolore fino a diventare un impedimento. Quella partita contro Andy mi ha causato più angoscia di qualsiasi altra perchè se fossi stato in forma, avrei avuto buone probabilità di vincerla.

WIMBLEDON, TRA SOGNI E SCIVOLATE – E’ arrivato fino alla quarta posizione mondiale, prima che gli infortuni condizionassero il suo 2015: “Ero un pochino depresso a riguardo. C’era sempre un dubbio: non potevo giocare senza allenarmi. Non avevo sicurezze e ho dovuto fermare la stagione presto e cercare di mettermi alle spalle gli infortuni“. Raonic sembra essere a posto adesso, ma la semifinale di due anni fa è ad oggi l’unico momento in cui ha passato il terzo turno a Wimbledon. I dubbi riguardo la superficie rimangono: “Nessuno gioca al meglio sull’erba. Il segreto è capire quanto stai giocando male. La superficie è scivolosa, è difficile, ho dovuto imparare ad accettare che è complicato anche per il mio avversario“. Nel 2011, durante un match di secondo turno a Wimbledon contro Gilles Müller, Raonic è scivolato e caduto: “Quella caduta mi ha tenuto fuori dai campi per tre mesi. Ero sul campo 3. Per i successivi anni ho chiesto di non giocare più sul campo 3, dicevo: ‘per favore, non voglio averci a che fare, mettetemi su qualsiasi altro campo’. L’ultima volta che ci ho giocato è stato l’anno in cui sono arrivato in semifinale [nel 2014]. Quell’anno colpivo davvero forte, ma prima di iniziare a farlo su quel campo ho voluto provare qualche tiro nel riscaldamento. E’ stato un anno bellissimo, fino alla delusione della semifinale persa contro Federer. Wimbledon mi ha dato più consigli di qualunque altro Slam. Ha un’aura diversa ed è decisamente il torneo di cui ho più timore. Poi, Sampras era il mio idolo e questa è un’altra ragione per cui mi piacerebbe vincere lì.

DA PAPA’ A MCENROE – La preparazione di Raonic comincia la prossima settimana agli Aegon Championships del Queen’s Club. “L’anno scorso è stata la prima volta che ho giocato al Queen’s e mi è piaciuto tantissimo. Ha dei grandi campi, ottimi servizi ed è sicuramente il miglior posto per prepararsi a Wimbledon. Adoro anche il fatto che sia vicino al centro di Londra cosicchè tu possa uscire e tenere la mente fresca prima del vero torneo a Church Road“. E’ proprio al Queen’s che inizierà la collaborazione con McEnroe, segno di quanto sia arrivato lontano Raonic, dai tempi in cui era allenato da suo padre a Richmond Hill, Ontario: “Avevamo un accordo con il Blackmore Tennis Club. Il massimo era 36 dollari all’ora per un campo, così mio padre ha parlato con i gestori e ci hanno concesso di pagare una cifra al mese per usare i campi quando fossero liberi. Mio papà mi allenava dalle 6 alle 8 del mattino e dalle 9 alle 11 di sera. Erano gli unici due orari in cui avevamo garantiti i campi. Avevo nove anni ed ero felice di stare sveglio fino a tardi.

Milos Raonic durante la semifinale a Wimbledon del 2014, persa contro Roger Federer per 4-6 4-6 4-6

L’INFANZIA IN JUGOSLAVIA – Raonic ora è in grado di capire quanto sia stato difficile per i suoi genitori lasciare la vecchia Jugoslavia per il Canada: “Quando ci siamo trasferiti, nel 1994, avevo tre anni e i miei fratelli erano adolescenti. E’ stato un grande cambio per i miei genitori ma sono stati fortunati: hanno trovato lavoro lo stesso giorno“. La sua famiglia ha origini serbe e montenegrine: “La guerra dei Balcani è stata una delle principali decisioni che ci hanno spinto a trasferirci, le altre concernevano le diverse opportunità che avremmo avuto in Canada. La guerra li aveva spinti al limite, è stato molto difficile per loro ma non ce l’hanno mai fatto vedere. Ogni cosa era orientata alle nostre opportunità e per me quello significava tennis“. Suo padre ha un dottorato di ricerca in ingegneria elettronica e sua madre un master in ingegneria informatica e dalle parole di Milos apprendiamo che “non guardano al tennista come una professione realistica, perchè è uno sport. Ci sono molti benefici finanziari quando sei al top, ma possono venire meno velocemente. E’ difficile iniziare. Puoi giocare quattro match senza neanche raggiungere il tabellone principale e, soprattutto, senza guadagnare nulla. Ma devi pagarti lo spostamento aereo e se vuoi fare le cose per bene anche un coach. Paghi il cibo, l’albergo e il volo per altre persone, pensi: ‘gioco domani alle 11, devo chiamare l’hotel perchè se perdo mi tocca pagare una notte in più’. Emotivamente, è pesante.”

IL TENNIS E L’ARTE – I miei genitori capivano, ma ho dovuto frequentare l’università mentre diventavo un tennista professionista. Ho pensato anche che se avessi lavorato le cose sarebbero andate meglio per me, sono sempre stato così“. Ed ecco che emergono i veri interessi di Raonic: “Ho iniziato ad appassionarmi all’arte di Andy Warhol a New York ed è una delle ragioni per cui sono innamorato di quella città. Lo zio di mia madre è probabilmente l’artista più conosciuto del Montenegro. Il resto della mia famiglia è tutto intellettuale: i miei due nonni e mio padre erano professori, mia madre lavorava in banca. Nella mia educazione non c’è mai stata una vera e propria comprensione per l’arte e per come essa cambia le persone. Pensiamo alla Cina, dove gli artisti sono banditi. Ai Weiwei è stato per molti anni senza passaporto e le sue opere sono fenomenali“. Può il tennis essere considerato arte? “Certo” – esclama Raonic – “Roger è l’artista più elegante ma siamo tutti creativi in modi differenti quando siamo all’opera sul campo. E’ difficile misurare la grandezza, nel tennis come nell’arte, perciò non so se vincere uno Slam definisca un grande tennista. Ma mi piacerebbe fare qualcosa di speciale a Wimbledon, sento che quest’anno posso ottenere tantissimo.

 

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