Il risveglio inatteso di un artista ribelle
Alexander Bublik non è nuovo a performance teatrali sul campo da tennis. Smorfie, colpi estrosi, tweener improvvisi: tutto ciò fa parte del suo repertorio, un mix tra talento puro e provocazione disincantata. Eppure, nel terzo turno del Roland Garros, il kazako ha mostrato una versione inedita di sé stesso, sorprendente e concreta, ribaltando una partita quasi persa contro Alex De Minaur con una rimonta da ricordare: 2-6 2-6 6-4 6-3 6-2.
Una vittoria che va oltre la tecnica, tocca corde intime e si fa narrazione esistenziale. Perché per Bublik, il vero avversario non era tanto l’australiano dall’infinita tenacia, quanto il proprio disinteresse iniziale. “Alle undici del mattino io dormo ancora. Nei primi due set ero mezzo addormentato. Pensavo già ai biglietti per tornare a casa”, ha raccontato con il suo tono ironico e svagato. Eppure, qualcosa è scattato. Una crepa, un break, un’illusione. “Mi sono detto: dai, almeno questo set portiamolo a casa. Poi anche il quarto… e quando ho visto che continuava a darmi qualche punto, ho pensato: perché no?”
Dallo spettatore al protagonista
Per chi lo segue da tempo, il cambiamento è tangibile. In un match che sembrava scritto fin dal primo scambio, Bublik ha saputo ribaltare l’inerzia con una freddezza che raramente gli si associa. “Ho avuto una piccola opportunità e l’ho sfruttata. Ho visto quel piccolo calo nel terzo set che ha avuto lui, e l’ho utilizzato”. Il kazako non ha bisogno di piani tattici rigidi: si affida all’istinto, all’energia del momento. E questa volta, l’istinto gli ha dato ragione.
Il suo gioco si è fatto più profondo, meno incline al drop shot e più solido da fondo campo. Ha iniziato a colpire meglio il dritto, a servire con più precisione, e soprattutto, a crederci. “Ogni occasione che ho avuto, l’ho sfruttata. Questo fa la differenza”, ha detto con disarmante sincerità.
Il tennis moderno e il peso della professionalità
Ma il vero cuore del discorso arriva dopo il match, quando Bublik riflette sul cambiamento del tennis contemporaneo. In una conversazione avuta con Gael Monfils, il kazako ha realizzato quanto il circuito sia diventato più professionale rispetto a quando ha iniziato. “Ora tutti sono superprofessionali. Si alzano presto, fanno i trattamenti, seguono una routine perfetta. Quando sono arrivato nel tour, molti facevano le cose a modo loro, senza fisioterapista o allenatore”, ha ricordato con un velo di nostalgia.
Lui stesso ammette di non essere il più diligente del gruppo. “Non sono il tipo più professionale del pianeta. Io mi sveglio tardi, gioco con mio figlio, chiacchiero con la mia famiglia. Alle undici in campo? È dura”. Ma nonostante questo, sa che se l’opportunità arriva, bisogna afferrarla. E in questo Roland Garros, contro ogni pronostico – soprattutto il suo – lo ha fatto.
Una tregua con la terra battuta
Curiosamente, proprio la terra battuta, superficie che ha sempre dichiarato di odiare, è diventata ora il teatro di una delle sue migliori prestazioni in uno Slam. Bublik stesso lo sottolinea: “Quest’anno ho vinto 12 o 13 partite su terra, non mi era mai successo. Solo essere al secondo turno qui era già un traguardo per me”. La sua relazione con la superficie rossa è, per ora, una tregua. Ma il significato è chiaro: Bublik non è solo un giocoliere in cerca di pubblico, ma un giocatore che, a modo suo, sta trovando la propria strada anche nelle regole ferree del tennis moderno.
La forza di restare se stessi
Alexander Bublik resta un enigma affascinante. Un uomo che vive il tennis come spettacolo, ma che ha imparato anche a riconoscerne le regole. Pur senza voler cambiare la sua essenza, ha dimostrato di poter competere con i migliori, anche quando il corpo è ancora assonnato e la mente vagabonda. Perché a volte basta poco – un break, un’occasione – per trasformare una sconfitta annunciata in un capitolo memorabile. “Se ho una chance, so di poterli battere”. E oggi, quella chance l’ha afferrata con entrambe le mani.