Alexander Bublik, il ribelle del tennis: “Io sono normale, sono gli altri a essere strani”

Al Roland Garros, Alexander Bublik sorprende tutti raggiungendo gli ottavi di finale. Tra ironia, riflessioni profonde e un tennis fuori dagli schemi, raccontiamo l’uomo e il personaggio che sfida le regole del circuito.
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Un ottavo di finale che sa di rivoluzione

Alexander Bublik è l’imprevisto che non smette mai di sorprendere. Al Roland Garros 2025, dove non aveva mai superato il secondo turno, il kazako si è spinto fino agli ottavi di finale, lasciandosi alle spalle avversari come James Duckworth, Alex De Miñaur e Henrique Rocha. Lo attende Jack Draper, numero 5 del mondo, ma il tennis imprevedibile e anticonvenzionale di Bublik non può essere sottovalutato. Il suo percorso fin qui è stato un’esplosione di talento, resilienza e, come sempre, di originalità.

Una carriera fuori dagli schemi

Nato in Russia e naturalizzato kazako, Bublik ha sempre vissuto il tennis a modo suo, rifuggendo ogni etichetta. Dal 2016 rappresenta il Kazakistan, Paese che gli ha offerto ciò che la Federazione russa non gli garantiva: fiducia. In carriera ha vinto quattro titoli ATP in undici finali, ma più dei trofei contano la personalità e l’aura magnetica che porta in campo. Nei tornei del Grande Slam, raramente è stato protagonista nella seconda settimana. L’ottavo di finale raggiunto a Parigi è solo il secondo della sua carriera, dopo Wimbledon 2023.

Il pubblico lo ama perché è impossibile prevedere cosa farà in campo. Il suo match contro De Miñaur, in cui ha recuperato da due set sotto, ne è la perfetta dimostrazione. “Alle 11 è troppo presto per me”, ha scherzato in conferenza stampa, come a voler ricordare che il suo tennis segue regole diverse, anche nel ritmo.

“Sono costretto a essere diverso”

L’essenza di Alexander Bublik è racchiusa nella sua visione del mondo. Non è lui a voler essere diverso, dice, ma è il sistema tennistico a renderlo tale. “Sono loro a farmi sentire diverso. Secondo me sono super normale. Se ho sonno, dormo. Se non ho voglia di allenarmi, salto. Non vedo nulla di strano”. La sua normalità è l’autenticità di chi si prende cura della propria salute e si concede libertà che molti top player considererebbero inaccettabili.

“Qualcuno ha guadagnato 100 milioni, ha vinto 25 titoli e vuole ancora di più. Per me questo non è normale”, ha riflettuto con lucida ironia. Non è disinteresse, ma una diversa concezione del successo: “Voglio dimostrare a me stesso di cosa sono capace, ma non mi interessa essere un robot da risultati”.

Questa filosofia lo ha portato anche a toccare il fondo. Dopo aver raggiunto la posizione 17 del ranking ATP a Wimbledon 2024, Bublik ha sperimentato il logorio delle aspettative. “Mi sono bruciato aspettando risultati che non arrivavano”, ha confessato, raccontando di come abbia trovato sollievo in qualche giorno di festa a Las Vegas, lontano dal circuito. La sua risalita è partita dal Challenger di Torino, dove ha ritrovato sensazioni positive e vinto il titolo. Oggi, è tornato in top 50, e sogna un posto nei migliori 40.

Il gioco del genio disobbediente

Nel tennis di Bublik non c’è strategia convenzionale, ma un arsenale di colpi imprevedibili e una continua ricerca di soluzioni creative. Non può sostenere match da cinque ore, non regge il caldo torrido australiano, e lo ammette senza maschere: “Fisicamente potrei morire in campo, devo trovare altre strade per vincere”. È la sua realtà. E per restare competitivo contro i migliori del mondo, ha dovuto costruirsi un’identità di gioco completamente diversa: “Sono più costretto a essere diverso che desideroso di esserlo”.

La sua filosofia si riflette nel modo in cui gioca. Nessuna ossessione per il palleggio infinito o la ripetitività esasperata. “Quando parlavo con Sascha o Andrey, mi dicevano: ‘Devi tirare 15 rovesci di fila’. Io ne tiro tre. Cos’è questa storia dei 15?”. L’umorismo, la sincerità, la capacità di prendersi sul serio solo fino a un certo punto lo rendono una figura rara nel tennis di oggi.

Il valore della differenza

Alexander Bublik non è solo un tennista. È un’idea. È la dimostrazione che nel tennis – come nella vita – si può eccellere senza uniformarsi, si può sorprendere senza ossessionarsi. È un ribelle con metodo, un genio disobbediente che vive e gioca secondo le proprie regole. “Cerco di trovare il mio spazio tra questi atleti straordinari, guadagnarmi da vivere così”, ha detto. E in un’epoca di super-atleti e programmazioni maniacali, c’è qualcosa di profondamente rivoluzionario in chi ancora crede che la normalità possa essere una forma di ribellione.

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