Atto primo
Il padrone di casa onorario parte forte perché lui, pur amando la sofferenza, ama ancora di più passarti sopra con il rullo compressore. D’altro canto non perde un set qui dall’ultima glaciazione o giù di lì.
Diversamente dal consueto – precedenti illustri inclusi – Jannik è freddino in avvio, pasticcia e va subito sotto di un break. Si sta scontrando con un mondo spietato, privo di riguardo per i giovani virgulti e forse sta anche mettendo in discussione le proprie certezze in cerca qualcosa di diverso per spiazzare gli avversari che ormai lo studiano e lo aspettano. L’aspetto bizzarro delle certezze è che a certi livelli valgono tanto per te quanto per l’avversario e così, con un tennis ancora aggrovigliato, l’aiuto viene da Nadal che commette errori inusuali e concede il controbreak. Ora Jannik è più tranquillo e si prende il 2-2 aumentando la pressione. Nel game seguente Nadal commette due doppi falli e completa il disastro con un dritto in rete: 3-2 Sinner da 0-2. La buona notizia è che tutto ciò sia avvenuto senza fare cose stratosferiche, la cattiva notizia è che di là c’è quel famoso signore che qui ha faticato più nel sollevare i trofei che nel vincerli. In questo momento sembra quasi che non ci sia connessione tra i due, ognuno sta lottando più contro se stesso per ritrovarsi che contro l’avversario. Nel sesto game Jannik imita il maestro, smarrisce la prima e a volte anche la seconda, va sotto 0/30, rimedia con il primo vero bel punto del match poi si mangia tutto con una brutta volée che Nadal trasforma in palla break. Jannik cancella con un dritto perentorio, poi nasconde molto bene un dropshot che lascia Rafa sul posto. Ci vuole però un altro giro di vantaggi per concludere il 4-2. Il termometro dice che Jannik sta salendo mentre Rafa sta rallentando il ritmo in cerca della misura – e sappiamo che è solo questione di tempo. Il “vamos” risuona a testimoniare che l’iberico si sta scuotendo (4-3). Sinner veleggia fino al 5-4, ora si serve per chiudere l’incresciosa striscia di 32 set nadaliani a Parigi. Ma non entra la prima e Rafa si prende il primo quindici, poi due gratuiti per lo 0/40 e un doppio fallo completano l’opera. È ufficialmente una maledizione. Il maiorchino, che è rinato al momento giusto proprio mentre Jannik si perdeva, ringrazia e cavalca l’onda fino a chiudere 7-5 con ferocia. Fa male, perché (guardando dal divano) è più evidente del solito l’occasione divorata, vista l’irripetibile vena un po’ scarsa dello spagnolo.
Atto secondo
Rafa è più sciolto, disegna traiettorie perfette e scende a rete come un chirurgo a prendersi i primi game. Sinner poverino fa il suo ma ormai l’incredibile Hulk si è scatenato, si nota chiaramente dal verde brillante della cute e dal punteggio di 4-0. Jannik qui ha il merito di restarci con la testa, si prende un break che sembra il game della bandiera, ci aggiunge il 4-2 e infine strappa di nuovo il servizio avversario con un fulmine di rovescio incrociato: 4-3 che sa di miracolo. Per chiudere il cerchio bisogna affrontare l’ira funesta del maiorchino, ma come in tutti i game decisivi in risposta lui mette il turbo e non fa più prigionieri. Poi serve per il set, vince a zero e lo scolaro modello prende appunti.
Atto terzo
Questo è molto breve, perché Nadal dà un’occhiata al suo Richard Mille RM 27-04 Tourbillon da un milione di dollari e scopre senza ombra di dubbio di essere in ritardo a un appuntamento importantissimo. Da buon ossessivo compulsivo ci tiene troppo alla puntualità perciò, tra un’aggiustatina e l’altra, decide di dispensare al suo fedele padawan il più crudele e ambivalente dei gesti d’affetto (roba che in confronto la carezza-schiaffo del padre di Zeno sul letto di morte è un episodio trascurabile): un bel bagel tondo e profumato che Jannik si porterà dietro a lungo. La lezione finisce in questa maniera un po’ splatter ma si sa, i grandi maestri a volte sono duri e crudeli.