Possiamo cominciare dalla fine. È il 18 ottobre 2019 e sul cemento coperto di Stoccolma si giocano i quarti di finale del 250 svedese. È il terzo set della sfida tra Sugita e Tipsarevic, nessuno dei due era atteso a questo risultato, in particolare il serbo, che per arrivarci ha eliminato il giovane francese Moutet e soprattutto ha rifilato una sonora lezione al top ten Fabio Fognini con un doppio 6-1 che non ammette repliche. Ora Janko serve sul 4-5, sull’orlo del baratro, e concede ben quattro match point nel game. Gioca aggressivo, come se non ci fosse un domani – in questo caso è più una verità che un modo di dire – e si salva con una serie di vincenti da fondo che merita la standing ovation del pubblico. Due game più tardi la scena si ripete sul 5-6: Tipsi salva tre matchpoint con altrettanti dritti vincenti, uno con lo smash e un altro è sciupato dal giapponese con un rovescio fuori misura. Entrambi i giocatori sono stravolti e vittime di crampi. Il tiebreak comincia bene per Tipsarevic, che poi deve arrendersi al ritorno di Sugita che al decimo matchpoint fa suo l’incontro. Cala così il sipario su una carriera lunga e accidentata, diciassette anni di alti e bassi fisici e mentali. Janko è commosso, provato per la fatica e l’emozione, ma dal suo sguardo traspare la soddisfazione per avere lasciato tutto sul campo, senza rimpianti. Non c’è un trofeo fra le sue mani, sarebbe bello e impossibile visto il calvario di oltre un lustro che ha vissuto dal 2013, ma c’è l’orgoglio di non essersi mai arreso, c’è la gioia di chi sarà ricordato per il cuore e per l’esempio trasmesso.
Riavvolgendo il nastro troviamo l’infanzia, tra guerra e povertà, che forma un uomo capace di affrontare la sofferenza e resistere alle difficoltà. La passione per la lettura, trasmessa dalla madre, gli regala qualcosa in più, strumenti culturali e spirituali che trovano terreno fertile in una sensibilità profonda. Anche per questo le parole di Tipsi non sono mai banali e lasciano il segno. Continuando la retrospettiva, vediamo uno sfavillante percorso giovanile, con gli Australian Open juniores del 2001, annata terminata al secondo posto del ranking dopo aver vinto anche il futures di casa, a Belgrado. Nel passaggio a professionista Tipsi si perde un po’ via. Lui stesso ammette di non avere avuto abbastanza coraggio in quegli anni, ché l’insicurezza di fondo gli impediva di dare tutto sé stesso per fornirsi così di un comodo alibi. Inoltre essere un personaggio dallo spirito raffinato non sempre aiuta in questi grovigli mentali, perché nella tortuosità viene a mancare la via dritta per l’obiettivo, la capacità fondamentale – nel tennis e non solo – di straniarsi e vivere un passo per volta, punto dopo punto, senza pensare al futuro, al domani e nemmeno al prossimo minuto. Sì perché la lettura per Janko non è un semplice intrattenimento, bensì un viaggio che lo avvicina ai romanzi classici ma anche a testi di filosofia che in pochi frequentano. Stando sempre alle sue dichiarazioni, a un certo punto questa passione stava diventando quasi dannosa per il suo tennis, perché troppe domande sul senso della vita lo destabilizzavano. In ogni caso, per tornare al campo, non mancano le soddisfazioni, le prestazioni di livello, le grandi battaglie – imprese solo sfiorate come con Roger al secondo turno degli Australian Open 2008, match sfuggito 6-7, 7-6, 5-7, 6-1, 10-8, e imprese riuscite come il quarto turno di Wimbledon 2007 raggiunto dopo tre vittorie di fila al quinto set -, e gli scalpi eccellenti, ma difetta la continuità, quella che porta trofei in bacheca: troppi cali di rendimento e occasioni perse.
Poi c’è la svolta, il momento in cui la testa fa click. La coppa Davis 2010 conquistata da protagonista delle semifinali, con le due vittorie su Berdych e Stepanek.
Di seguito arriva il biennio migliore, impreziosito da due partecipazioni consecutive alle finals. In quegli anni Janko solleva i suoi quattro trofei Atp250 e perde altre cinque finali su tutte le superfici, a dimostrazione di un gioco versatile nonostante sia cresciuto decisamente sulla terra rossa. Sempre in questo periodo arrivano i due quarti di finale consecutivi agli Us Open e il miglior ranking al numero 8 della classifica. Il 2013 comincia bene proprio con il quarto titolo, vinto a Chennai su Roberto Bautista Agut, ma finisce male a ottobre, quando il trascinarsi di un infortunio riportato negli Australian Open di gennaio lo costringe a operarsi. Da lì ha inizio la sua personale via crucis, che si può riassumere con il numero di otto interventi chirurgici subiti negli anni, fra cui la rimozione di un tumore benigno al piede. Fascite plantare, tendinite, problemi al polpaccio e all’inguine, fino alla doppia operazione ai tendini di entrambe le ginocchia, con assenze di intere stagioni dal circuito, solo per fare una rapida carrellata. Quando il mondo ti crolla addosso in questo modo, le certezze vacillano e così il nostro eroe si trova a combattere un altro avversario, forse il peggiore, subdolo e malefico come solo i nemici che si nascondono dentro di noi: la depressione. La forza e il sostegno di amici e famigliari lo aiutano a ritrovare la luce in fondo al tunnel, insieme a una prepotente voglia di riemergere che lo porta a vincere cinque titoli Challenger e a recuperare più di 460 posizioni in classifica nel 2017, prima di un nuovo stop che gli impedisce di giocare nel 2018.
Gli obiettivi per la pensione sono chiari: oltre a godersi la famiglia e una vita un po’ più tranquilla, Janko è intenzionato a rimanere ben dentro al pianeta tennis, occupandosi della propria accademia e avviando una carriera di Coach. Tipsi ha iniziato la stagione sulla panchina del connazionale Flip Krajinovic, un talento discontinuo che potrà giovarsi della sua grande esperienza e del suo spessore umano. Vedremo come andrà, di certo non dimenticheremo facilmente questo tennista filosofo con gli occhiali vistosi, convinto – come da tatuaggio Dostoevskijano – che la bellezza salverà il mondo.