Jannik, cuore d’acciaio

Lunga notte sinneriana che si prolunga fino alle nove e diciassette del mattino dalle nostre piovose parti. In terra australiana le nubi trascinate dal vento danno vita a un teatrino surreale e continuo di luci e ombre che si riverbera in campo.
Lo ammetto, avevo preparato una cronaca in presa diretta del match con Bedene ma la realtà ha messo la freccia e mi ha superato di slancio – cose che capitano, per fortuna – più sorprendente di qualsiasi tentativo di descriverla.
Sì, perché alla fine l’occhio di bue si sofferma sui momenti più drammatici, quelli che mostrano la tempra, quelli in cui – ahimè – qui da noi il mondo riprendeva a girare a pieno ritmo (io l’avrei fermato volentieri un attimo per meglio gustarmi quello che succedeva a Melbourne). Va bene ma proviamo a riassumere: hai diciannove anni e sei dall’altra parte del mondo, più o meno solo con te stesso, giochi il secondo match della giornata, hai appena sprecato otto set point, di cui quattro consecutivi nel tie break e ora devi fronteggiare il ritorno del tuo avversario. Bene, io credo che la fine sia già scritta nel 99,9% dei casi.

Ma vediamo al volo come ci siamo arrivati. Negli ottavi di finale Jannik si scontra con un Bedene solido e centrato, salva due palle break e giunge al tiebreak, dove annulla un set point con uno scambio lungo nato da una seconda di servizio un po’ morbida, prima di fare suo il parziale grazie a un gratuito dell’avversario.
Il secondo set si risolve soprattutto nel terzo game, quando Jannik trova le prime opportunità in risposta e si porta avanti, per poi difendersi dalla reazione nel gioco successivo. Finisce 6-2 con il pugnetto un match non facile in cui Jannik ha avuto coraggio e pazienza.
Questo è solo l’inizio, adesso bisogna aspettare che Kecmanovic pieghi Caruso in tre set tirati per conoscere il prossimo avversario.

Così all’alba italiana comincia un nuovo giro di giostra, contro il giovane serbo. Soliti scambi di cortesie da fondo, con Sinner che trova il break nel quarto gioco, ma lo restituisce all’istante perché è scritto che bisogna soffrire. Jannik in certe fasi rimane forse troppo fuori dal campo ma si guadagna in ogni caso le chance di riportarsi avanti (in particolare tre set point in risposta sul 6-5). Le spreca tutte, forse perché il destino vuole metterlo alla prova.

Dunque torniamo al tie break di cui parlavamo all’inizio. Jannik scappa 5-1, poi 6-2 e sembra fatta. Invece il serbo vince quattro punti di fila, poi annulla anche la quinta opportunità sul 7-6 e si porta avanti. L’inerzia ora è tutta con lui, mentre Jannik ha sulle spalle il classico zaino dei rimpianti – non un bagaglio a mano, ma un bel carico di sassi. È qui che il cuore di Jannik si esalta insieme ai suoi nervi d’acciaio. Il braccio di ferro finisce con un 12-10 eroico per il ragazzo di San Candido.

Nel secondo set Sinner tira un po’ il fiato e vacilla ma non molla. Il terzo gioco comincia con un delizioso punto a rete che infonde fiducia e in effetti alla fine arriva il break. È tutto? No, perché anche questa volta Jannik si fa subito raggiungere e non passa turno di servizio senza concedere palle break. Insomma bisogna soffrire ancora ma Sinner è in fiducia, rimedia agli errori e sfrutta le sue opportunità.
Così, dopo un lunghissimo giro sulle montagne russe, arriviamo all’ace delle nove e diciassette del mattino e possiamo goderci le nostre tre parole preferite e sospirate: game, set, match. In semifinale ci sarà il russo Kachanov, mentre dall’altro lato il sorprendente Travaglia, che ha messo fine alla striscia di sei successi (senza perdere nemmeno un set) del polacco Hurkacz, se la vedrà con Thiago Monteiro in una sfida fra underdog.

Nicola Balossi

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