Il mio ritorno sui campi da tennis

È sempre stato meraviglioso praticare tennis di questi tempi: sole caldo ma non troppo, cielo azzurro, una leggera brezza e tanta voglia di competere. Un ottimo modo, insomma, per estraniarsi temporaneamente dalle preoccupazioni della quotidianità. Poi il virus, maledetto virus, che ha scombussolato qualsiasi cosa. Tant’è che questo ritorno sul campo, pur privo di tutti gli elementi suddetti a causa del meteo parzialmente avverso, mi ha riportato indietro nel tempo di molti anni, facendomi riassaporare emozioni più tipicamente puerili che da (forse sì, forse no) persone adulta.

Aspetto ancora un po’ dopo le prime timide riaperture, dopodiché prendo il cellulare e chiamo uno dei miei grandi amici d’infanzia: “Sabato pomeriggio si gioca, 16-17, su terra”; la risposta è un “Ci sono” di una convinzione e di una bellezza immense. Arriva così il sabato e la trepidante attesa volge gradualmente al termine. Nel tragitto verso il circolo, tutto appare più emozionante del solito ed un sorriso contagioso pervade il mio volto.

Dopo mesi passati a provare a vuoto colpi già ballerini in precedenza e ad immaginare schemi che nella pratica restano solo nella mente, s’intravede finalmente l’inconfondibile rosso del mattone tritato accompagnato dal suono potente della pallina sulle corde. Suona la “campanella”, è il nostro turno. Finalmente via la mascherina.

Dopo i primi timidi colpi a metà campo, si comincia a spingere (ci si prova) da fondo e la palla stranamente scorre abbastanza fluida; forse i movimenti a vuoto provati nell’angusto spazio tra l’armadio ed il letto non sono stati del tutto vani. Un’oretta davvero piacevole, intensa, velocissima, tra improbabilissime demi-volée ed errori banali.

Ci si prepara e si va via; poi il genio: l’altro campo è libero e subito arriva la proposta del mio fidato compagno di tennis: “Un’altra oretta?”. E via che in un attimo si passa dalla terra all’erba: arrivano le stecche, le fatiche e un tennis disastroso, così disastroso da risultare ancora più bello di prima.

E così, al termine di due ore suonate di tennis, catapultati in una realtà parallela, abbiamo provato ad affacciarci ad una normalità che sembra ancora un miraggio. Perché fin quando non potremo darci il cinque a fine partita e fermarci liberamente per la classica birretta post match, sarà tutto inevitabilmente diverso. Nonostante ciò, il valore di un’ora di tennis era già inestimabile qualche tempo fa ma ora, pensandoci bene, diventa quasi essenziale. Buon tennis a tutti.

Luca Sassone

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