Il 2019 è stato un anno positivo per il tennis italiano. Mentre da sotto montava il fenomeno Sinner e da sopra Fabio Fognini conquistava il master 1000 di Montecarlo, nel mezzo Matteo Berrettini coglieva risultati sorprendenti. Nella prima parte della stagione il romano alza due trofei, di cui uno a Stoccarda sull’erba, superficie che di solito non si addice ai nostri concittadini, che fa seguito al titolo di Budapest e alla finale di Monaco (sul rosso). Dopo la semifinale di Halle, raggiunge gli ottavi a Wimbledon e prende una tale imbarcata da sentirsi in dovere di ringraziare Federer per la lezione.
Ma il momento più esaltante deve ancora venire, dopo una distorsione alla caviglia destra che gli impedisce di difendere il titolo di Gstaad, il primo alloro Atp, conquistato nel 2018. L’eliminazione al primo turno di Cincinnati (contro Londero) lo conduce a New York senza troppe partite nelle gambe e senza particolari pressioni ed è lì che avviene il miracolo. Matteo elimina in serie Gasquet, Jordan Thompson e Popyrin, guadagnandosi gli ottavi di finali, dove riesce a battere Rublev in tre set. Segue una sfida memorabile con Gael Monfils, vinta al tiebreak del quinto set. La semifinale, un risultato già storico, è una sconfitta in tre set contro un Nadal inarrestabile, ma Berretto vende cara la pelle nel primo parziale, dove sciupa due set point prima di capitolare. Questo risultato strabiliante, insieme alle semifinali di Shangai e Vienna, gli vale il numero 8 del ranking e il pass per le finals di Londra. È il terzo italiano di sempre a riuscirci, dopo Panatta e Barazzutti. Giunto stravolto al capolinea della stagione, Matteo subisce due nette sconfitte da Djokovic e Federer prima di battere il già qualificato Thiem nell’ultima ininfluente partita del round robin.
Dal 2020 si attendevano conferme, il che è sempre insidioso: tanti punti da difendere, pressioni e aspettative non facili da gestire. L’inizio è in salita, anche a causa di qualche problema agli addominali che ne condizionano la campagna australiana. L’uscita al secondo turno di Melbourne con Tennys Sandgren è una delusione per il “most improved player of the year 2019”, ma c’è tutto il tempo di rimediare. Servono pazienza e lavoro, ma Berrettini questo lo sa benissimo e l’ha sempre detto. Certo, ciò che nessuno si aspettava era questa pausa forzata da pandemia, circostanza che, come affermato dallo stesso Matteo in una recente intervista, porta a riflessioni profonde e obbliga ognuno a rivedere le proprie priorità. Ma parlando delle prospettive di crescita di Berrettini, ovviamente ci riferiamo al momento del rientro in campo, che sia nel 2020 o nel 2021. Alcuni sostengono che la scorsa stagione sia irripetibile, in quanto influenzata da fattori fortuiti, e che il nostro eroe non abbia i mezzi per rimanere stabilmente in quelle posizioni. Io credo invece che ci siano i presupposti per una visione più ottimistica. Sappiamo infatti quanto conti la testa in uno sport professionistico individuale. Matteo ha dimostrato un ottimo spirito: grande umiltà, dedizione al lavoro, voglia di migliorarsi e soprattutto un’intelligenza e una ricchezza di contenuti che di certo lo aiuteranno su diversi fronti, compreso quello psicologico, che non va mai trascurato. Basta sentirlo parlare per capire. Coerentemente con queste caratteristiche, la sua carriera fin qui è stata contraddistinta da una crescita lenta e costante, fino al boom del 2019. Il primo titolo ITF è arrivato nel 2015, nel 2017 il primo Challenger e l’ingresso in top 200, fino al citato 250 di Gstaad del 2018.
Fa ben sperare anche il fatto che si sia dimostrato ugualmente competitivo su tutte le superfici, e che abbia un solido repertorio di base su cui costruire il resto. Ha una grande forza fisica e un ottimo servizio, che riesce spesso a combinare con il dritto incrociato, il suo colpo migliore. Il rovescio è cresciuto molto, così come il gioco a rete e la sensibilità manuale, dimostrata con il ricorso a numerose palle corte. Soprattutto ciò che ha colpito in quest’ultimo anno è stata la voglia costante di imparare più dalle sconfitte che dalle vittorie, caratteristica comune ai più ambiziosi e ai più grandi. Infine, nel fargli gli auguri per questo compleanno pasquale, ricordiamo che le candeline sono soltanto ventiquattro – in un tennis dominato da tre terribili vecchietti – perciò speriamo di vivere con lui ancora tante emozioni simili a quelle delle indimenticabili nottate newyorkesi.