C’era una volta un russo, uno spagnolo e un italiano

Strani incroci di fine millennio: il campione e due comparse, che però riuscirono per una volta a vestire i panni del protagonista. Una bella storia che i giovani non conoscono, e che i meno giovani forse hanno dimenticato. La riviviamo assieme, costretti a scavare nella memoria -tennistica- per scacciare in qualche modo i fantasmi e le ombre – non tennistiche- di questi tempi grami…

Di Renato Borrelli

Maledetto coronavirus! Non si parla d’altro, accendi la televisione e ti martellano su tutte le precauzioni da prendere, vai su Facebook e compaiono ‘tutorial’ su quel che puoi fare e quel che no: è consentito uscire ma non frequentare luoghi affollati, no meglio star chiusi in casa… Ciascuno dice la sua, spesso anche gente che farebbe bene piuttosto a starsene zitta: le indicazioni giocoforza si sovrappongono, e spesso si contraddicono l’ un l’ altra. Il povero cittadino si trova così in mezzo a mille fuochi, fra il timore di ammalarsi ed il desiderio di stravolgere la propria vita di tutti i giorni giusto il minimo indispensabile.

Molto tempo fa, diciamo nel XIV secolo, dall’ epidemia di peste nera a Firenze nacque indirettamente uno dei capisaldi della lingua italiana: già, proprio il Decamerone, in cui il Boccaccio immagina che 10 ragazzi e ragazze si riuniscono per giorni in una villa fuori città, allo scopo di sfuggire in qualche modo al flagello. Il tempo però bene o male dovevano passarlo, ed oltre a quello che immaginate ( e che poi dette spunto a film licenziosi, non esattamente passati alla storia del cinema: oltre che allo sdoganamento dell’ aggettivo ‘boccaccesco’ ), si soffermavano a raccontar storie e favole, in una sorta di competizione innocente. Beh, 700 anni più tardi il sottoscritto, segregato fra le 4 mura della propria modesta magione, prende umilmente esempio da quella situazione, e ben consapevole di non essere in grado di emulare il sommo letterato toscano, prova a raccontarvi -specie a beneficio dei più giovani, ai quali i personaggi di cui diremo certo son noti poco o punto- una sua storiella: naturalmente ambientata nel mondo del tennis. Occhio però: tutto autentico, tutto certificato! Pronti? Via…

C’era una volta un russo, uno spagnolo ed un italiano…No, detta così pare una di quelle barzellette dove la parte del furbo spetta sempre al nostro connazionale: ed allora parliamo piuttosto di una strana triangolazione, che a fine anni 90 vide protagonisti un artista della racchetta, un manovale ed un apprendista. Fuori i nomi: Evgenyi Kafelnikov, Roberto Carretero, Corrado Borroni. Del primo ne avran sentito parlare anche i meno stagionati: detto ‘il Principe’ per quell’aria di sufficienza, se non alterigia, con la quale affrontava chiunque (anche i big, Sampras, Agassi, Ivanisevic e via discorrendo), forte in ogni caso di una tecnica senza dubbio invidiabile. Due Slam nel suo carniere, Roland Garros nel 96 ed Australian open nel 99, certificano la sua indubbia qualità, accanto ad altre bazzecole -si fa per dire- come le Olimpiadi di Sydney 2000 e la coppa Davis due anni più tardi (assieme ad un altro bel tipo come Marat Safin). Il secondo invece se la cavava così così nel circuito secondario, con rare escursioni nell’ Atp tour, quasi mai coronate da grandi risultati: pensate, a fine carriera soltanto 26 vittorie in totale, spalmate in 8 anni! Terraiolo puro, come quasi tutti gli iberici di quel periodo, era un gran randellatore da fondo, con due spalle così, il cui problema principale era tener la palla dentro i troppo angusti -per lui- confini del rettangolo di gioco…L’ultimo del trio veniva da Milano: fascia sui lunghi capelli simil-Vilas, giocatore di seconda, se non terza schiera, rovescione ad una mano, mai un acuto tra i ‘grandi’. Almeno sino al fatidico 1995…

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Cominciamo da qui il nostro racconto: Internazionali d’Italia, fra i diversi azzurri ammessi alle qualificazioni (allora usava così, con wild-card a gogò per permettere a qualche autotctono di affacciarsi al grande palcoscenico, se ne era capace) Corradone riesce a spuntarla. Bene, benissimo, grande soddisfazione, vai col sorteggio, magari con un po’ di fortuna un turno si riesce a passare… Ed invece, esito raggelante: proprio il Principe, numero 9 al mondo, sul mattone tritato uno dei più accreditati ! Vabbè, ciccia, intanto l’onore del Centrale, che non è poco –“e quando mi ricapita?”, avrà pensato-. Si comincia, qualche impaccio iniziale più che comprensibile, ma Borroni ‘tiene’: c’è partita insomma, e questa è già una buona notizia. Il russo fa sua la prima frazione per 6-3, naviga a velocità di crociera, pensa forse di chiudere in un’altra mezzoretta: si rilassa insomma (cosa che gli accadeva spesso, contro quelli manifestamente inferiori), ma l’altro ‘sente’ l’atmosfera. Al solito il pubblico del Foro la butta un po’ in caciara, ovazioni ad ogni punto del proprio neo-beniamino che finisce con l’esaltarsi, mentre l’avversario è sempre più infastidito: come si permette questo plebeo della racchetta, e soprattutto questi 2-3000 scalmanati perché si fanno beffe del mio censo?… Per farla breve, arriva la grande sorpresa: 7-5 6-3, gente in visibilio, l’ enfant du pays acclamato e portato in trionfo, come avesse vinto Wimbledon. Gli osservatori più smaliziati pensavano però “bravo, sicuro, ma la corsa finirà presto: già al secondo turno la ‘grande sorpresa’ farà le valigie”… Indovinate chi è il prossimo? Ebbene sì, proprio l’iberico coprotagonista della nostra vicenda: “se po’ ffa”, dicevano i romani sugli spalti, ma insomma, Borroni era pur sempre il nr. 411 al mondo! Tutto ciò per dire che partiva sfavorito pure contro Robertone, qualche centinaio di posizioni più avanti in classifica pur non avendo mai dato eclatanti segnali di sé: e chissà, magari avrà pensato “che fortuna, l’italiano me lo mangio vivo”.

Già… Manco per sogno, il milanese viaggia su una nuvola, due tie break combattuti, ed il terzo turno è cosa fatta: media fuori di testa, abbiamo trovato il nuovo Panatta, e via discorrendo. Ma ecco stagliarsi all’orizzonte la sagoma minacciosa di Stefan Edberg, ostacolissimo al terzo turno: qui si fa l’Italia o si muore! Buona la seconda ahimè, dato che Borroni scende dalla nuvola, e becca un regolare  6-0 6-2. Pazienza, ma ormai il lombardo è un idolo, interviste su interviste, si prevede per lui una carriera degna di nota: non sarà così, ma ci torneremo…

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Saltiamo all’anno dopo, ed andiamo ad Amburgo: competizione Masters Series, mica noccioline, tutti i migliori al via. Alle qualificazioni c’è pure il nostro amico Carretero, sempre nelle vesti di oscuro mestierante: le passa però, ed un po’ come il Corrado di 12 mesi prima, si augura -senza troppe speranze- di combinare qualcosina. Anche perché se la deve vedere subito col connazionale Jordi Arrese, ben più quotato di lui. Vince però, e si guadagna la sfida con Malivai Washington: non un granchè sul rosso, mentre anni dopo farà finale a Church road. Coglie al meglio anche questa occasione, ci prende gusto, e distrugge in rapida successione Arnaud Boetsch e Gilbert Schaller, per arrivare ad una incredibile semifinale. E chi c’è di là della rete? Risposta esatta: Kafelnikov! La nostra bizzarra triangolazione si chiude, con ancora un esito sorprendente: 7-5 6-2, il nuovo Moya -così lo chiamavano ormai- approda in finale con squilli di tromba annessi. E la favola è ormai troppo bella per interrompersi: difatti il madrileno sbaraglia un altro connazionale molto più accreditato come Alex Corretja, per aggiudicarsi il suo primo titolo Atp…

Primo, abbiamo detto? Non è esatto: si tratterà piuttosto dell’ultimo, perché misteriosamente così com’era arrivato, Carretero rientrerà nei ranghi, in pratica non combinando più nulla di buono sino alla fine della carriera. Ha ballato una sola estate insomma, ma che rumba! Dovevamo tornare su Borroni, come promesso: lui un giro di valzer se lo concesse ancora, poche settimane dopo l’exploit dello spagnolo. Stessa spiaggia stesso mare, vale a dire Roma: ancora quali superate, ancora -sembra incredibile- Eugenio al primo turno! Un deja-vu, che a momenti finisce come la clamorosa prima puntata: il primo set se lo aggiudica il nostro, sembrava di essere al Colosseo al tempo degli antichi Romani per quanto la gente dava fuori di matto… Punto nell’orgoglio però, il futuro -fra neppure un mese – trionfatore di Parigi decide che la ricreazione è finita, e piazza un 6-3 6-4 che, non lo sapevamo ancora, mette fine di fatto alla carriera del bombardiere dei Navigli.

Il quale ora starà raccontando ai figli di come, da ragazzo, tenne testa ad un campionissimo da pari a pari: così come, da qualche parte in Spagna, un ex modesto operaio della racchetta si può vantare con gli amici al bar di un prestigioso titolo Atp. In Russia, al contrario, uno dei top storici del suo paese di certo avrà rimosso dalla propria memoria quei lontani, sfavorevoli eventi: troppo brutti da ricordare, meglio Parigi e Melbourne. E di un bel po’…

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