Quando Adriano conquistò la Parigi di Borg

Correva l'anno 1976, un ventiseinne romano dalla chioma fluente rendeva democratico nel Bel Paese lo sport borghese per eccellenza, conquistando le masse di profani a forza di veroniche e volée in tuffo ed issandosi sino alla conquista della Tour Eiffel, in un'edizione degli Open di Francia conquistata dopo aver eliminato nei quarti di finale un certo Bjorn Borg.

Sarà forse un recondito patriottismo, sarà forse la volontà di far valere il sentimento di rivalsa che arde negli animi di migliaia di italiani all’alba dell’anno zero dello sport italiano (perché in Italia, si sa, sport=calcio), sarà forse un caso, stabilitelo voi: sta di fatto che abbiamo sentito e sentiamo il bisogno di raccontare una storia di successo sportivo dei nostri amati colori, un episodio virtuoso dei tempi passati, quando fu un italiano, da sfavorito, ad avere la meglio su uno svedese, sulLO svedese, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, Bjorn Borg, Sarà quel che sarà, ma ricordare oggi quell’oramai lontano quarto di finale degli Open di Francia del 1976 assume un sapore particolare, di nostalgia mista a ripicca.

Era il lontano 1976, l’Italia scricchiolava sotto il piombo e il mondo ruotava attorno a due poli opposti: Panatta però non sembrava sentire il peso della storia, giocava leggero, volava sul campo, quasi etereo. Vinse a casa sua, al Foro Italico, ottenendo quello che lui stesso ha definito “un successo sentimentale“, annullando, non si sa ancora come, undici, dico undici, match points contro Warwick, non Wawrinka, al primo turno, e sconfiggendo il fu Re della terra rossa Guillermo Vilas in finale.

Fu poi la volta degli Open di Francia: Adriano si presentò a Parigi da testa di serie numero 8,forte di uno stato psicofisico mai raggiunto prima, né dopo,  nella sua carriera. “ Stavo bene, giocavo meglio, ero spensierato, pieno di salute“, così il romano descrive anni dopo quella particolare congiuntura, quel mix di ingredienti tanto semplici quanto efficaci la cui soluzione venne servita sotto forma di un successo insperato, l’ultimo successo ad oggi di un tennista italiano in un torneo dello slam. Adriano in realtà rischia di uscire subito, dando ulteriore prova di resilienza nel suo match di primo turno, dove si trova ad annullare un match point al cecoslovacco Pavel Hutka, chiudendo 12-10 al quinto set, forse ancora non perfettamente rientrato dalle fatiche del torneo romano, giocato e vinto solo qualche giorno prima. Poi due vittorie in tre set, contro il nipponico Kuki e nuovamente contro un cecoslovacco, Hrebec. Negli ottavi Adriano trova l’ostico jugoslavo Zeljko Franulovic, finalista su quegli stessi campi nel 1970 ed ultimo tennista a sconfiggere Vilas prima dell’incredibile striscia vincente realizzata dall’argentino nel 1977 (interrotta solo grazie alla straordinaria “racchetta a spaghetti“); Panatta ha la meglio, dopo un’aspra battaglia durata 4 set e conclusasi con il punteggio di 6-2 6-2 6-7 6-3 in favore dell’italiano. Il quarto di finale dei sogni era servito: Panatta-Borg, il caschetto di Roma contro la chioma bionda di Stoccolma, il glaciale svedese contro lo splendido ed ardente italiano, il gioco tecnicamente perfetto di Bjorn contro un gioco rischioso, azzardato, “poco amletico”, fatto di veroniche e volée in tuffo. Adriano sa come battere Borg, l’ha già battuto sullo stesso campo tre anni prima, e non sono in molti a poterlo dire (nessun altro può in realtà vantare un successo contro lo svedese al Roland Garros): Panatta arriva ai quarti del Roland Garros avanti 5-4 negli scontri diretti, con il ricordo ben vivo in mente dell’ultimo successo ottenuto contro il rivale pochi mesi prima, un successo dal sapore particolare poiché ottenuto in casa di Borg, a Stoccolma. Borg era il più forte, ma il ’76 era senza dubbio l’anno di Panatta: Adriano sembrava inarrestabile, gli riusciva tutto, un Re Mida che trasformava ogni pallina un oro, ogni volée alta in una strabiliante veronica. I primi due set sono una formalità, con l’italiano che gioca un tennis etereo, disarmante, al quale nemmeno Borg può opporre resistenza: 6-3 6-2 senza possibilità di appello. Il terzo parziale vede la reazione orgogliosa del campione, un 6-2 strappato di forza, preludio per molti di una storica rimonta; il quarto parziale diventa presto una lotta, ma a puntarla non può che essere l’uomo in missione per conto degli dei del tennis, Adriano Panatta. 6-3 6-2 2-6 7-6 il risultato finale.

Adriano si sbarazzerà poi di due statunitensi, Eddie Bibbs in semifinale e quell’Harold Solomon che aveva già perso negli spogliatoi, quando Adriano, forte del suo delirio di ogni potenza, lo ammonì su quello che sarebbe stato l’esito del match, rivolgendogli un quanto meno scortese “guardati allo specchio, sei bassotto, con me non c’è partita, dove vai?”; poteva sembrare arrogante, ma aveva ragione, Dio se aveva ragione! Solomon correva, come un flipper impazzito, rimanda di là ogni palla, ma non bastava, non poteva bastare a frenare Panatta: 6-1 6-4 4-6 7-6, Game, Set & Match Adriano Panatta. Un trionfo non romantico quanto quello di Roma, che lo aveva innalzato al titolo di ottavo Re di Roma qualche mese prima della nascita del futuro Re di Roma (qualcuno ha detto Francesco Totti?), ma prestigioso, prestigiosissimo.

Erano altri tempi, erano i tempi in cui i tennisti non viaggiavano con al seguito eserciti di allenatori, mental coach, guru, preparatori, manager e chi più ne ha più ne metta, tempi in cui se dimenticavi le scarpe dovevi fartene mandare un altro paio in qualche modo; Adriano le scarpe per giocare la finale non le aveva: le sue se l’era prese, per sbaglio, Paolo Bertolucci, trovandole in spogliatoio, dove Adriano le aveva lasciate ad asciugare (si giocava ancora con le Superga di tela), e scambiandole per le sue. Panatta riuscì in qualche modo a farsele portare, da un comandante italiano che giunse a Parigi con le sue scarpe poco prima della partita.

Ma erano davvero altri tempi, tempi in cui il tennis italiano brillava, i tempi dei grandi ideali, gli anni dei Rolling Stones, gli anni de “Il Padrino”, di Rocky e della febbre del sabato sera, gli anni di Berlinguer, della guerra del Kippur.

Oggi i grandi ideali li troviamo nei libri di storia e di filosofia, abbiamo i Green Day, il Signore degli Anelli e gli eroi della Marvel, Renzi e la guerra in Medio Oriente, ma soprattutto non abbiamo Panatta, e ci manca tanto, tantissimo.

Tratto da: Memorie (o ricostruzioni) sportive di un italiano deluso. 

 

9 comments
  1. Grande..anche se quando fa le telecronache c’è da strapparsi i capelli..non capisce una mazza del “nuovo” tennis
    Per non parlare di Ocleppo che sembra che abbia giocato a baseball…meglio togliere l’audioooooooo
    Negati

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