“La fotografia è quel plettro che pizzica le corde del cuore e le fa risuonare nell’anima”, diceva il fotografo Orazio Minnella. Personalmente trovo maledettamente vere queste parole, la fotografia per come la vedo io, ha il dono unico di raggiungere note inarrivabili con qualsiasi altro mezzo. Proprio questa convinzione mi ha spinta, in questa intervista a Roberta Vinci, ad affidare le mie domande non alle consuete parole, bensì a questi attimi di vita fissati per sempre sulla pellicola della memoria.
[tps_title]1. “Mamma e papà, i miei maestri”[/tps_title]
Roberta Vinci: “Papà Angelo e mamma Luisa: due persone splendide che mi hanno insegnato praticamente tutto, anche se spesso l’hanno dovuto fare a distanza. Avevo 13 anni quando mi sono “staccata” da loro per andare ad allenarmi a Roma. Di quel periodo ricordo solo lunghe notti piene di pianti, volevo tornare a casa, chiamavo mia madre al telefono ma non appena rispondeva riattaccavo perché non avevo la forza di parlarle e perché mi mancava troppo. Quel periodo è stato durissimo, ma nonostante tutto non ho mai mollato e questo con il tempo mi è servito. Probabilmente se oggi ho un carattere così forte è proprio grazie a quei momenti.
Loro due mi hanno insegnato che nella vita come prima cosa viene sempre l’educazione. Negli anni non mi hanno mai fatto mancare nulla, mi hanno sempre appoggiata, anche nei momenti per me peggiori, mi riferisco soprattutto a quei periodo in cui il tennis si stava trasformando nel mio peggior nemico. Quando mi sono ritrovata a fare qualche scelta sbagliata soprattutto tennisticamente parlando, non mi hanno mai lasciata sola e sono rimasti al mio fianco. Magari non condividevano a pieno le mie scelte, me lo facevano capire, per loro non stavo prendendo la decisione migliore (cosa che poi con il tempo ho finito per capire da sola) ma comunque, per me, ci sarebbero stati lo stesso, sempre. Sono tutto per me, li amo immensamente!”
[tps_title]2. “Il fratello più figo del mondo!”[/tps_title]
R. V.: “Ciccio, il fratello più figo del mondo! Sempre sorridente e con la battuta pronta. Ora lavora in banca a Taranto, ma io l’avrei visto bene come cabarettista in tv. È uno spasso, con lui non ti annoi mai! Abbiamo iniziato a giocare insieme a tennis, da piccoli, al muro, quando papà ci portava con se al circolo. All’inizio lui era talmente buono con me da farmi vincere sempre, poi con il tempo ha iniziato a capire che stava sbagliando e soprattutto anche in lui si è accesa la lampadina dell’agonismo quella che ti dà la voglia spasmodica di vincere. A quel punto in campo ha cominciato a fregarmi le palle, non riuscivamo mai a finire una partita perché io iniziavo ad innervosirmi, da lontano mio padre, vedendo la scena, decideva d’intervenire e di porre fine a tutto (Ride). Con il tempo Ciccio ha poi deciso di smettere di giocare, ed è stato un peccato, perché era molto bravo. Aveva iniziato a non tollerare più il costante paragone, il fatto di essere considerato in ogni circostanza come il “fratello di” tanto da decidere di lasciar perdere il tennis. Ad oggi è il mio tifoso numero uno.
Quando eravamo piccoli, penso di non ricordare un solo gesto di affetto mio nei suoi confronti; lui, invece, mi riempiva sempre di baci e abbracci… Troppo più affettuoso!”. (Ride)
Ti racconto solo questo episodio: Ciccio 12 anni più o meno, io 10: eravamo al mare da soli, dovevamo tornare per le 13 alla villa, che dista circa 5 minuti a piedi dalla spiaggia (lui è sempre stato puntualissimo). Quel giorno erano le 13 passate e noi non eravamo ancora rientrati. Mia madre preoccupata si affacciava continuamente al balcone, ad un certo punto, intravede noi in lontananza che camminiamo pianissimo, a passo di lumaca. Io avevo perso le ciabattine al mare e mio fratello mi aveva fatto salire con i miei piedi sopra i suoi: avevamo iniziato a camminare insieme a ritmo, piedi sui piedi, per percorrere pochi chilometri ci abbiamo impiegato tantissimo, ma così facendo ha evitato di farmi scottare. Meraviglioso, gli voglio troppo bene!”
[tps_title]3. “Negli States con Flavia e le altre”[/tps_title]
R. V.: “Qui se non ricordo male eravamo negli Stati Uniti. Loro tre attualmente le vedo poco, ci sentiamo soprattutto telefonicamente, ma le considero tutt’ora delle vere amiche.
La prima partendo da sinistra è Maria Letizia Zavagli, la ragazza con cui ho condiviso la stanza durante il mio primo anno in federazione, avevo 13 anni. Con lei sin da subito mi sono trovata benissimo, è una ragazza di una dolcezza fuori dal comune. L’ultima volta che l’ho vista mi trovavo a Milano Marittima in un negozio, quando qualcuno mi arriva alle spalle e mi copre con le mani gli occhi, mi giro di scatto e vedo lei. Pazzesco! Non la vedevo da almeno 10 anni, non immagini quanto mi abbia fatto piacere rivederla, è rimasta sempre la stessa e le voglio ancora un gran bene. (Mi ha anche promesso di venire con me a vedere una puntata di Uomini e Donne, il programma televisivo che piace ad entrambe).
L’ultima a destra è invece Stefania Chieppa: siamo nate nello stesso anno e abbiamo condiviso tantissime battaglie insieme. Io e lei eravamo le più forti del nostro anno, quindi spesso e volentieri finivamo per scontrarci in finale nei tornei under nazionali. Insieme abbiamo vinto anche un titolo europeo in doppio, conservo ancora la foto che immortala quel momento nella mia camera a Taranto.
Purtroppo ci vediamo poco a causa dei miei impegni lavorativi e perché lei vive a Torino, comunque la vedo spesso in tv, perché lavora per Supertennis. Oggi è anche mamma di un bimbo splendido!
Quella alla mia sinistra forse già la conoscete: è Flavia Pennetta, la giocatrice con cui ho perso in finale agli Us Open 2015!” (Scoppia a ridere).
[tps_title]3. “New York, una finale tra amiche”[/tps_title]
R. V.: “Questo è uno dei momenti che resterà per sempre impresso nella mia memoria, ma credo anche in quella di tutti gli italiani appassionati di tennis. Sono semplicemente le chiacchiere post-finale Slam di due amiche, di due sorelle, di due ragazze che tra mille sacrifici sono partite insieme dalla Puglia per inseguire il proprio sogno.
Quante ne abbiamo passate insieme, mamma mia. Conosco Flavia da quando aveva 9 anni, all’epoca nei tornei regionali finivamo sempre per scontrarci in finale. Nei faccia a faccia ero avanti io, perché tra le due ero quella più tranquilla, quella che in campo riusciva a gestire meglio la tensione e la partita. Ci siamo poi allenate insieme in Federazione a Roma, condividendo per anni anche la camera. Lo ricordo ancora, era la numero 116 dell’Acqua Acetosa, era la nostra casa, il nostro regno, con i nostri poster di Leonardo di Caprio e Paolo Maldini in bella mostra appiccicati al muro.
Flavia è stata una persona importantissima per me, durante l’adolescenza, con i miei genitori a chilometri di distanza era lei il mio punto di riferimento. Ci siamo sempre aiutate e protette a vicenda, tennisticamente parlando e non. Poi lei ha lasciato Roma ed è andata ad allenarsi altrove, di conseguenza le nostre strade si sono momentaneamente divise, ma l’affetto è rimasto immutato. La nostra amicizia è sempre stata caratterizzata da una grande rivalità sportiva accompagnata da un immenso affetto. Iniziare con lei quest’avventura, sin da bambine e finirla sempre con lei in una finale Slam per me è la chiusura perfetta (tennisticamente parlando) per un rapporto di amicizia incredibile“.
[tps_title]4. “Io e Sara, regine a Wimbledon!”[/tps_title]
R. V.: “Questo è uno dei momenti più belli della mia carriera, la vittoria a Wimbledon, il trionfo che ci mancava, il torneo per eccellenza, quello più celebre tra i neofiti di tennis e non. La vittoria meravigliosa quanto inaspettata, arrivata su di una superficie per noi a dir poco ostica, è stato un vero e proprio sogno che diventa realtà. Il sogno si è avverato grazie all’entusiasmo, al duro lavoro e al feeling che ci ha sempre contraddistinte.
Ricordo come se fosse ieri la nostra camminata nel tunnel che portava ai campi di allenamento per il riscaldamento pre-finale: camminavamo, ci guardavamo ma nessuna delle due riusciva a parlare. Probabilmente neanche serviva, ci stavamo capendo semplicemente con lo sguardo. In noi c’era un misto di tensione, ansie e paure. L’unica cosa che riuscivamo a ripeterci a vicenda era quella di non pensare all’importanza della partita, di giocare semplicemente come se si trattasse del primo turno. Ricordo che giocammo indoor perché pioveva e vincemmo un grande match. Sul 6-4 5-3 15 pari, io ero al servizio, Sara si avvicina e le dico: “Cichi, sono tesa“. E lei: “Forza non ci pensare, punto su punto”. Sul 40-30 le dico: “Dove batto?”. E lei: “In fuori sul rovescio” (si ricordava che avevamo chiuso cosi il match agli Us Open l’anno prima). Da lì, servizio vincente, lei a terra, io che non capivo più nulla e le salto addosso. Un’emozione indimenticabile!”
[tps_title]5. “Cosa farò da grande?”[/tps_title]
R. V.: “Minchia, da grande? Più di così? Ho 32 anni! Comunque sicuramente non la tennista” (ride). “No, parlando seriamente mi piacerebbe restare nel mondo del tennis, occuparmi di qualche giovane. Magari fare l’allenatrice, non so”.
Ringraziamo Roberta di cuore per la sua enorme disponibilità, per la sua spontaneità e per la sua simpatia. Grazie Roby ed in bocca al lupo per tutto. Ad maiora, campionessa!