Confessioni di una fanatica di Novak Djokovic

Di Valentina Fornaro

È accaduto tutto da un giorno all’altro. Era la primavera del 2010, precisamente una notte in cui non riuscivo a chiudere occhio. Nell’attesa di addormentarmi, ho preso il cellulare per ascoltare un po’ di radio e dopo qualche minuto mi sono imbattuta nella replica di un programma andato in onda la mattina. I due conduttori stavano intervistando un tennista, ma non riuscivo a capire di chi si trattasse. Quando al momento dei saluti hanno pronunciato il suo nome, sono rimasta di stucco. Ho subito pensato: “Quel ragazzo così pieno di allegria e alla mano, con una perfetta padronanza dell’italiano è proprio Novak Djokovic? La stessa persona che per anni ho considerato l’incarnazione dell’arroganza? No, non può essere!”. Un attimo prima la sua spocchia, figlia dei miei pregiudizi nei confronti della sua persona, mi risultava indigesta. Un attimo dopo lasciavo che si insinuasse tra le pieghe del mio cuore, travolgendomi come un’onda improvvisa e spazzando via quell’antipatia che finora all’apparenza mi aveva sempre trasmesso. In tutti quegli anni, da quando ho iniziato ad appassionarmi a questo sport, avevo sempre guardato al tennis maschile con un certo distacco rispetto a quello femminile. E nonostante avessi comunque delle preferenze, nessuno tra gli uomini era in grado di suscitare in me emozioni simili e a toccarmi nell’animo quanto il mio primo mito tennistico Mary Pierce e successivamente la ‘Divina’ Justine Henin. Ma dopo il colpo di fulmine di quella notte, finalmente avevo trovato un omologo al maschile da idolatrare.

In seguito ho chiesto ai miei ex compagni di università serbi cosa pensassero di Novak Djokovic, lasciandoli piuttosto esterrefatti. Non immaginavano che potesse avere dei fan anche al di fuori della Serbia, come se fosse ancora qualcosa esclusivamente di loro proprietà. Mi hanno colpito subito i toni in cui me ne hanno parlato, di quanto per loro Djokovic rappresenti al meglio nel mondo ciò che davvero significa essere serbi. Avendo avuto la possibilità di studiare in una città poco distante dai confini slavi e quindi di essere entrata in contatto anche con moltissimi miei coetanei serbi comprendendone la cultura e il loro modo di essere, il fatto che spesso erroneamente vengano accusati di eccessivo nazionalismo mi infastidisce. In realtà si tratta semplicemente di fierezza, di essere orgogliosi di provenire da un paese come la Serbia. Quello stesso orgoglio che ho scorto nello sguardo di Nole durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra nel 2012 mentre sfilava come portabandiera; oppure quando nel turno di Coppa Davis contro gli USA l’anno dopo si è infortunato ma ha deciso comunque stoicamente di onorare la sua nazione, restando in campo e riuscendo a vincere quel match. La forza di rialzarsi e di ripartire contando solo sui propri mezzi, dopo aver fronteggiato mille difficoltà, credo sia una caratteristica innata nel bagaglio interiore di ogni serbo. E questo sentimento Nole lo esprime alla perfezione, soprattutto quando afferma: “La peggior sconfitta per me non è fallire, ma non provarci nemmeno”.

Ci sono tennisti ben più titolati e trasversali di lui, ma ho sempre avuto l’impressione che nessuno potesse ricoprire il ruolo di ambasciatore nel mondo per i propri connazionali quanto lo è Nole per il popolo serbo. Gioca per e con loro, come se fossero la sua armatura invisibile ogniqualvolta scende in campo. È un simbolo di riscatto, soprattutto a causa dell’immagine distorta che suo malgrado quel paese ha dato di sé nel corso degli anni. Ma prima di tutto è un eroe nazionale. La folla oceanica per le strade di Belgrado, che lo ha accolto ed acclamato gridando “Nole sei il nostro re”, al suo ritorno in patria dopo la vittoria a Wimbledon nel 2011 ne è la dimostrazione.

novak-djokovic-boris-becker-tennis_3317978

Molto è accaduto da quella fatidica notte di sei anni fa. Ci sono stati momenti di grande esaltazione, ma anche tante lacrime. Ci sono stati momenti di amarezza, altri di incertezza in cui il timore che non fosse più lo stesso giocatore, per esempio dopo l’arrivo di Becker, era forte. Ci sono state tante arrabbiature e molte aspettative a volte non mantenute. C’è stata la miglior stagione della sua carriera nel 2011 e c’è stata la prima posizione del ranking mondiale. Ci sono stati altri quattro Australian Open, ma anche sei finali slam perse. C’è stata quell’invasione ancora ben presente nei miei incubi durante la semifinale contro Nadal nel 2013 al Roland Garros, il sigillo che ancora gli manca. Ma se dovessi scegliere delle istantanee di questi cinque anni, sicuramente di primo acchito mi scorrerebbero in testa le immagini della premiazione del suo primo Wimbledon. Nole, felice quanto un bimbo di fronte ad un enorme cono gelato, inizia a strusciare il viso contro la coppa come se si trattasse di una donna. Oppure quello sconsiderato tweener giocato con sprezzo del pericolo, ma con una sicurezza e una naturalezza disarmanti durante la finale di Shanghai nel 2012 contro un Murray avanti di un set e a due punti dal match. Mi torna in mente l’abbraccio con Stan Wawrinka, dopo la maratona nell’ottavo di finale in Australia nel 2013, ma anche quella volée fatale terminata fuori ai quarti nell’edizione successiva sempre contro lo svizzero. Buoni amici anche fuori dal campo, lui e Wawrinka nelle ultime stagioni si sono resi protagonisti di match infiniti e al cardiopalma, per la mia gioia hanno fatto coppia in un paio di tornei di doppio ed entrambi spesso sono stati accusati di esternare troppo le loro emozioni anziché mantenere un’aria compassata in campo.

Proprio in seguito alla clamorosa eliminazione rimediata a Melbourne lo scorso anno, ho temuto che Nole si stesse irrimediabilmente smarrendo. L’arrivo di Boris Becker come suo nuovo coach non stava portando i risultati sperati. Un titolo dello slam assente ormai da un anno, la mancata difesa del titolo a Dubai ed Indian Wells iniziato sotto i peggiori auspici. Giunto in finale letteralmente per il rotto della cuffia, ho trascorso quella domenica sera con la testa fra le mani sconsolata. E dopo il controbreak di Federer sul 5-4 in favore di Nole nel terzo set, in preda alla frustrazione ho preferito andarmene a letto. Solo qualche istante dopo, leggendo i messaggi di giubilo da parte di altri tifosi, ho potuto tirare un sospiro di sollievo. Uno scenario simile si è ripetuto ad inizio luglio durante la finale di Wimbledon. Dopo il controbreak di Federer nel quarto set, ho spento la tv quasi in lacrime andando a rintanarmi in un angolo. Non poteva accadere di nuovo, avevo già sofferto abbastanza dopo tre finali slam gettate via nell’arco dell’ultimo anno. In seguito, mi sarei pentita di aver avuto una reazione così spropositata e prematura e di non aver assistito in questo modo con i miei occhi a quel trionfo che ormai mancava da troppo tempo. Poi quel sabato sera di settembre, con Nishikori che lo batte in semifinale a New York. Non ricordo di aver mai pianto così a lungo per una sconfitta di Nole. Sono precipitata in un buco talmente profondo di depressione, da cui solo uno speleologo sarebbe stato in grado di trascinarmi fuori. In molte occasioni ho avuto il sentore che quasi ci prendesse gusto a percorrere la strada più intricata per giungere alla vittoria, divertendosi nel mettere a dura prova le coronarie di noi tifosi. Quante volte mi son ripetuta quasi rassegnata: “Ma Nole è così!”. Perciò inutile prendersela tanto, lui ama fare di testa sua e di complicarsi la vita da solo ogni tanto anche pagando a caro prezzo le conseguenze di queste sue scelte.

In questi anni la reazione delle persone di fronte al mio tifo per Nole è sempre stata unanime. In negativo: “Tu tifi Djokovic?E non ti vergogni?”, “Sento di gente che tifa Federer, Nadal, Murray. Ma non mi è mai capitato di sentir dire ‘Io tifo Djokovic’”, “Tifosa di Djokovic?Credevo non ne esistessero neppure!”, “Quando parli di Djokovic sembri una quindicenne scema in preda a deliri adolescenziali”, “I tifosi di Djokovic sono esattamente come lui! Dei cavernicoli”. Mi è capitato di sentire o leggere commenti crudeli ed insulti gratuiti nei suoi confronti. Una volta ricordo di aver scovato un meme su Tumblr raffigurante un abbraccio fra Federer e Nadal e che recitava la seguente frase: “Non permettere mai più a Nole di intromettersi fra di noi”. Probabilmente questo è il vero motivo per cui è un personaggio così controverso e discusso. In molti non accettano che abbia spezzato l’egemonia Fedal. Il pomeriggio dopo la sconfitta contro Murray nella finale del 2013 a Wimbledon, ho ricevuto un messaggio su Facebook: “Non vedo l’ora di guardare la tua faccia quando il tuo clown serbo perderà la prima posizione e collezionerà solo eliminazioni”. Sono trascorsi quasi due anni da allora, e Nole è più che mai saldamente al vertice della classifica e sono già cinque i titoli conquistati in questa prima metà della stagione. È stato definito un mediocre con un gioco che rasenta la noia, un pallettaro, un robot, una versione malriuscita di Nadal, un pagliaccio, una persona finta e smaniosa soltanto di ottenere l’approvazione del pubblico. Un tempo tutte queste critiche mi ferivano, e polemizzavo animatamente con chiunque potesse affermare cattiverie del genere. Oggi invece ho raggiunto una sorta di calma zen e non ci faccio neppure più caso.

Spesso mi è stato chiesto quali fossero le ragioni di questo amore viscerale per Nole. Perché di amore si tratta. Amore per la persona, per il suo modo di essere così genuino. Lo amo perché è entrato nella mia vita in un periodo in cui avevo davvero bisogno di uno come lui. Lo amo perché è sempre se stesso, perché non teme di esporsi e di mostrarsi al mondo anche con le sue insicurezze e paure. Lo amo perché quando è in giornata si avvicina alla perfezione. Quando lo osservo giocare ripenso al verso di una canzone dei Guano Apes: “You can’t stop me/I’m close enough to kiss the sky”. Queste parole sembrano scritte appositamente per lui, spesso la sua forza diventa impossibile da arginare. Lo amo perché quando perde ha l’umiltà di ammettere i propri errori e di riconoscere i meriti dell’avversario. Lo amo perché dopo una sconfitta ha la forza di lasciarsi il fallimento alle spalle e a ripartire, concentrandosi subito sul torneo successivo. Lo amo perché applaude sempre ai bei colpi del giocatore che ha al di là della rete. Lo amo perché mi fa vivere appieno i match, come se gli fossi accanto su quel campo. Lo amo perché con Stan Wawrinka e Juan Martin Del Potro, gli altri due tennisti che più adoro, ha instaurato un bel rapporto di amicizia e di rispetto reciproco quando si devono affrontare. Ricordo i gesti di affetto da parte di Nole verso Stan mentre lo accarezza sulla guancia dopo la semifinale a New York, e mentre abbraccia Delpo che se la ride durante la premiazione della finale a Shanghai. Lo amo perché, se volesse, si lancerebbe nel fuoco per la Serbia. Lo amo perché è sempre pronto ad offrire il suo aiuto non solo ai tennisti suoi connazionali, ma all’intero popolo serbo. Lo amo per il modo in cui si è prodigato nei confronti di Viktor Troicki durante l’ingiusta squalifica. Amo Nole perché in fondo mi ricorda me stessa. Non sa fingere di essere ciò che non è, e non gli importa di non riuscire a farsi benvolere da tutti.

Lo amo perché ho avuto la possibilità di entrare in contatto con molti altri suoi tifosi, condividendone gioie e ansie. Lo amo perché grazie a lui ho conosciuto persone a cui voglio un gran bene. Non credo sia un caso che la sua fanbase si chiami NoleFam. Mi sento davvero come se facessi parte di una famiglia allargata. Ho sempre avuto la sensazione che Nole appartenesse ai suoi tifosi, appartenesse a noi. E da un occhio esterno credo non si possa comprendere fino in fondo ciò che davvero è Nole. Nole va vissuto. E infine amo il suo sorriso. Mio fratello non a caso, che lo ha incontrato per le strade di Montecarlo circa un mese fa, quando gli ho chiesto cosa di lui lo avesse colpito maggiormente mi ha risposto così: “Il suo sorriso. Così luminoso e contagioso. E la sua disponibilità. Si nota subito quanto ci tenga a rendere speciale l’incontro con i suoi fan, e la sua gratitudine verso di loro ”. E io sono grata a lui per ogni momento che mi ha fatto vivere, anche il peggiore. Gli sono grata per la possibilità di poter continuare a vederlo giocare, spero ancora per molti anni. E infine nel giorno del suo ventinovesimo compleanno, alla vigilia imminente del Roland Garros ormai quasi stregato per lui, desidero ringraziarlo. Grazie Nole di essere semplicemente Nole. E grazie di essere una parte di me. Grazie, grazie davvero.
BUON COMPLEANNO NOLE
СРЕЋАН РОЂЕНДАН НОЛЕ

Exit mobile version