Diario degli Australian Open: giorno 1

-Nel momento in cui Andy Murray, pronto a servire sotto 5-1 nell’ultimo set, si è reso conto, erroneamente, del fatto che quel game sarebbe stato l’ultimo della sua carriera, sono stato colto da un brivido. Lui, stremato, con le braccia al cielo invocava l’applauso del pubblico, che alzandosi in piedi gli dedicava il giusto tributo. La partita, nonostante oltre quattro ore di gioco, ha poco da offrire se non un’intensa cornice emotiva. Bautista Agut, in stato di grazia insolito, potrebbe chiudere la pratica in tre rapidi parziali, ma nel momento decisivo, quando il traguardo è così vicino alle scarpe da percepirne con la suola lo spessore, il coraggio dello spagnolo viene meno ed inizia ciò che alla fine verrà ad essere, per il baronetto scozzese, un sadico accanimento terapeutico. I colpi di Bautista piovono flosci e centrali, le gambe perdono la tipica reattività per divenire gradualmente marmoree. Dopo il duplice ed iniziale 6-4, incassato senza possibilità di opporre resistenza, Murray conquista due impensabili tiebreak, portando la pratica al parziale decisivo. È lì che, come pugno fragoroso nello stomaco, il break iberico estirpa l’ultima flebile scintilla ancora intrinseca negli occhi di Andy, che sottomettendosi cede e pone fine allo strazio. Non si sa cosa ne sarà di lui, le dichiarazioni sono vaghe e impregnate di incertezza. Forse è un addio, forse no. Al tempo il verdetto definitivo.

-Guardando da lontano il completo di Nadal pare che, a contornare una canotta catarifrangente di dubbio gusto estetico, lo stilista della Nike abbia deciso di apporre un grazioso merletto, preso in prestito, forse, da un paio di centrotavola rimasti in solaio ed inutilizzati dall’epoca di Tilden. Fortunatamente, la sfida tennistica tra lo spagnolo e Duckworth risulta più gradevole della mise probabilmente indossata dallo spagnolo con un po’ di vergogna, complice anche l’insolito stile di gioco della wild card australiana. Ripetuti serve&volley cui Nadal non fatica a trovare le contromisure, un paio di anticipi accattivanti in risposta e qualche vincente scagliato dal nulla con improvvise accelerazioni di rovescio. La prima prova del maiorchino, al rientro dopo uno stop dalle competizioni ufficiali che durava dagli scorsi Us Open, è pienamente sufficiente.

-Federer impiega poco, come da tradizione, a rendere vane le esultanze baldanzose di Istomin, che tenta di imporsi sul Vate ostinandosi su colpi impattati in anticipo senza comprendere come, sfidare lo svizzero su una simile tattica di gioco, sia considerato suicidio sportivo. Roger palleggia sereno, si diverte con controbalzi dal tasso di difficoltà giunonico facendo invece sembrare, un rovescio lungolinea dal movimento bloccato, il più semplice e naturale dei gesti. Lo guardo da oltre un decennio e ancora non mi sono stancato di ammirare tali prodigi balistici. Niente male.

-Mentre Cilic demolisce quell’inconsistente muro di spocchia autoreferenziale che, per abbreviare, gli amici chiamano Tomic, De Minaur continua la sua corsa trionfale. I due australiani, dicotomici come pochi altri al mondo, sono la prova vivente di quanto, il genere umano, possa produrre frutti dai caratteri più disparati. Il primo, lamentoso e inutilmente tronfio, da anni ostenta un talento che però, gli esperti suggeriscono, non è ancora stato in grado di trovare. La ricerca è infruttuosa, suggerisco io, perché le fantomatiche doti affibbiate al novello Laver non esistono, ma sembro il solo, nel globo terracqueo, ad avanzare una simile ipotesi. Il secondo, invece, pur senza avere colpi particolari sui quali basare la propria carriera e non potendo nemmeno contare su una personalità capace di attirare su di sé i famelici riflettori della stampa, migliora giornalmente a tutto tondo, focalizzando l’attenzione, in primis, su preparazione fisica e servizio. Modi di vivere differenti, ma differenti sono infatti i risultati.

-Purtroppo Monica Niculescu, estromessa per mano dell’americana Anasimova, è costretta anche quest’anno ad abbandonare, ad un passo dal traguardo, la possibilità di conquistare il tanto agognato Grande Slam. In Monica io, e miliardi di persone da tutto il mondo, crediamo fermamente. Non sarà questo piccolo inciampo a frenare le ambizioni di uno tra i più grandi talenti, tecnici ed estetici, che la storia del tennis ricordi.

-Gli italiani, ultimamente, mi conferiscono le stesse emozioni di un muro grigio, scrostato e macchiato da cespuglietti di muschio secchi osservato in una plumbea giornata di inverno bulgaro. Non so perché, ma non riesco a gioire per più di qualche battito di ciglia alla notizia delle vittorie di Travaglia e Fabbiano. Successo anche per Seppi, nei soliti quattro set di tradizione e sconfitta per Berrettini, superato dal ben più talentuoso Tsitsipas.

-Stranamente, eccetto Ostapenko la gradassa, nel tabellone femminile si impongono tutte le favorite. Si presume che su Melbourne, per tale evento storico, possa cadere una disgrazia epocale o un avvento di mirabile splendore. Sia mai che, ad interrompere le belluine urla di una truppa di brute padellatrici, possa manifestarsi l’epifania della Radwanska, che abbagli platea ed avversarie rubando il trofeo e librandosi con esso nell’alto dei cieli.

Dal vostro cronista è tutto, a domani.

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