Diario degli Australian Open: giorno 12

-Sono basito dall’ondata di cattiveria gratuita che è piombata addosso a Hyeon Chung per aver commesso l’ingiustificabile atto del ritiro nella semifinale che, questa mattina, lo ha visto opposto a Roger Federer.
Per chi non avesse avuto modo di assistere alla partita o conoscere il risultato, il Vate conduceva 6-1 5-2 quando la criminosa scelta è stata presa, ormai spinto in un terzo set di mattanze che si sarebbero abbattute sulla povera carcassa del coreano costretto a subire lo strapotere svizzero nella prima semifinale Slam della carriera.
Invece, agli occhi di una mandria di commentatori, Chung, il codardo, ha preferito evitare l’umiliazione, l’indelebile macchia che una sconfitta in tre set patita a ventuno anni contro il più forte giocatore della storia gli avrebbe causato.
Si è ritirato, lui, simbolo di una generazione incapace di affrontare le difficoltà, irrispettoso nei confronti del pubblico, perché su un tale palcoscenico si gioca anche zoppi.
Vergognati, Chung, bambino frignone che una volta abbagliato dalla bellezza celestiale dello svizzero, capendo di non esserne all’altezza, sei fuggito negli spogliatoi.
E ad ogni epiteto di disgusto, di ripugnante ricordo di un tennis che fu, scorrono accuse di slealtà, vigliaccheria e pavidità.
Per ognuno di questi, di contro, le solite smielate lodi al Federer che “anche se è vecchio incarna il tennis, e quando smetterà non guarderò più la televisione”.
Luoghi comuni che compongono le righe così simili ad intrecci di un tappeto che viene ad essere la somma di tutti gli elogi incondizionati a Lui rivolti.
Masse che esaltano il sommo e lapidano quello che, dall’altra parte della rete, ha avuto la sfortuna di tentare di mettergli i bastoni tra le ruote.
Se non ci è riuscito, e questo è il caso, il motivo risiede nella sua incapacità di giocare a tennis. “È solo un atleta, tanta corsa e niente gioco”.
Quando però, una settimana fa, il povero Hyeon batteva Novak Djokovic, che rappresenta il Male, allora sì, in quel caso, la folla lo ergeva a fenomeno.
Tutti, confrontandosi con il Vate, sono costretti a cedere a colui che incarna il tennis perché inadatti e figli di una generazione che ha creato macchine estranee a tecnica ed eleganza, brute forme di forza fisica che rovinano uno sport nato dai gesti bianchi.
Sulla partita di oggi, non ci sarebbe alcun commento da fare, perché una partita non c’è stata.
E invece, come ogni volta un giocatore si trovi costretto a fronteggiare Federer, un gregge di commentatori esaltati si mobilita e divide la sfida in due rami principali: l’esaltazione della bellezza, che è sinonimo di Roger, e l’attacco frontale nei confronti dell’altro.
È insensato, folle, scorretto. È fanatismo che pervade ormai ogni spazio dedicato al tennis e verso il quale, non è la prima volta che lo dico, mi batterò sempre.
Una volta che Chung pubblica l’immagine del suo piede lacerato dalle vesciche, per un attimo l’orda si placa.
Ripensa a ciò che ha fatto, si rende conto di aver ingiustamente attaccato un giocatore che si è visto piombare davanti l’incubo del ritiro nella prima semifinale Slam della carriera.
Capisce che sarebbe stato meglio tacere, evitare la rabbiosa reazione che ha avuto precedentemente.
Ritorna sui suoi passi e di nuovo commenta: “beh, d’altronde, anche in salute, avrebbe fatto solo due game in più, perché il Re è il Re, e lui, randellatole insulso, non è nessuno”.
Non c’è nulla da fare, il fanatismo è intrinseco nella mentalità di molti.
La mia sarà probabilmente una battaglia persa, che sfrutta l’episodio di questa mattina come espediente per trattare un tema molto più complesso.
Che volete che vi dica, tutto questo non fa altro che rovinare lo sport.
Ancora, ancora e ancora.

Dal vostro cronista è tutto, buona finale.

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