Discutere è inutile, vince sempre lui

Serbia's Novak Djokovic (L) and Switzerland's Roger Federer shake hands at the end of their men's singles semi-final tennis match on day six of the ATP World Tour Masters 1000 - Rolex Paris Masters - indoor tennis tournament at The AccorHotels Arena in Paris, on November 3, 2018. (Photo by Anne-Christine POUJOULAT / AFP) (Photo credit should read ANNE-CHRISTINE POUJOULAT/AFP/Getty Images)

Partiamo dal presupposto che, quella di ieri, possa essere considerata la terza miglior partita dell’anno, preceduta soltanto dalla semifinale di Wimbledon tra Djokovic e Nadal e la finale di Indian Wells tra Federer e Del Potro. Precisato ciò, fattore che mi permette di non dilungarmi troppo sulla bellezza di diversi scambi giocati dai due, preferisco concentrarmi sui dettagli che, in tre ore di partita, hanno fatto la differenza. Se la sfida fosse analizzata dal mero punto di vista estetico, basandosi cioè sull’impressione che questa ha suscitato negli spettatori, la conclusione più logica sarebbe dichiarare che lo svizzero se la sia giocata imponendo il proprio schema di gioco, mentre il serbo, divenendo plumbeo muro di gomma, abbia pazientemente atteso l’errore dell’altro, manovrando, di tanto in tanto, con il solito rovescio bimane. In realtà, osservando i numeri, il contesto appare alquanto diverso. Federer non ha mai perso il servizio, corretto, ma Djokovic ha avuto 12 palle break, di cui alcune annullate in modo fortuito (si pensi alla volee giocata di puro riflesso nel primo set o il nastro benevolo che ha fatto impennare la palla per poi farla ricadere, imprendibile, a pochi centimetri da sé). Il serbo ha dunque, senza alcun dubbio, avuto più chance di vittoria, ed anche se avesse chiuso la pratica in due set, sarebbe stato impossibile gridare pubblicamente allo scandalo. Inoltre, la differenza abissale tra il vero ed il pensiero comune, sta nell’identificare il gioco di Nole associandolo soltanto all’estrema rimessa. Quando, in situazioni critiche, Djokovic ha deciso di imporre allo scambio il proprio ritmo, Federer è stato costretto ad una remissiva difesa, inchiodato sul lato sinistro del campo colpendo in controbalzo il dritto pesante del serbo. Aggiungiamo a questo un ottimo rendimento al servizio, condito da percentuali mostruosamente alte con la seconda, e la conclusione in suo favore altro non è che la logica conseguenza dello svolgimento dell’intera partita. Chi si aspettava la vittoria dello svizzero sbaglia, così come chi sostiene che la sua sconfitta sia immeritata.

Passando a Roger, è però ottimo il bilancio che si trae dal match di ieri, soprattutto considerando le scialbe prestazioni messe in mostra nell’ultimo trimestre. Giocare per tre ore alla pari contro il numero uno del mondo (percepisco qualcosa di strano nell’affibbiare questa definizione a Djokovic dopo oltre due anni) è, per lui, un’importante iniezione di fiducia. Da parte sua, l’errore più grande è stato l’ostinarsi a giocare il back di rovescio in risposta alla seconda del serbo. Questa incomprensibile strategia non solo, per mancanza di tempismo sulla palla, ha portato numerosi errori gratuiti, ma ha permesso a Djokovic, nelle situazioni in cui il colpo riusciva a passare la rete, di impostare da subito lo scambio sulla diagonale di rovescio. Il back, nonostante una superficie rapida che sembrava restituire tanto alle soluzioni tagliate (numerosi i servizi slice risultati vincenti da ambo le parti), ha affossato Federer portandolo alla sconfitta. Si è rivisto a sprazzi, manna per gli occhi stanchi di soluzioni monotematiche, il rovescio elvetico impattato in lungolinea, che schiocca maestoso sulla racchetta per sibilare elegantemente e toccare appena la riga laterale.

Riassumendo, la quarantasettesima disputa tra due dei più grandi giocatori di sempre si conclude lasciando intendere che l’attuale Djokovic sia battibile soltanto dalla giornata di grazia di qualche bombardiere al quale, per due ore, entrino tutte le accelerazioni, o di un membro del duo svizzero-iberico, mediamente non a livello del serbo rinato dalle ceneri. Djokovic non viene amato dal pubblico, che lo fischia e tifa per il suo diretto rivale. Se ne dispiace, ed è ovvio, ma questo poco importa, secondo la sua ottica, se dallo scorso agosto nessuno sia stato in grado di opporsi fra lui ed il successo. Una partita combattuta fino all’ultimo quindici, dove mai ha dato l’impressione di poter perdere. Da questi dettagli si misura la sua condizione.

La sadica dittatura serba prosegue inesorabile la sua corsa in solitaria.

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