Roger Federer, 3: Quando lo svizzero, principale favorito per la conquista del titolo, conduceva due set a zero su Kevin Anderson e si trovava ad affrontare un match point a proprio favore nel terzo parziale, pubblico ed organizzatori già programmavano la semifinale che il loro numero 1 si sarebbe trovato a giocare con un bombardiere a scelta tra Isner e Raonic. Nel momento in cui, però, dopo oltre due ore dall’istante appena descritto, una prima vincente del sudafricano estromette Federer dal torneo, milioni di spettatori si domandano perchè l’upset dell’anno sia stato possibile. Come spesso accaduto in carriera, Roger non sfrutta le tante possibilità che il destino benevolo gli offre. Un tabellone agevole che non lo avrebbe visto affrontare nessun grande nome fino alla finale, un elenco di battitori sul verde sempre arginati con scioltezza. Pareva essere tutto apparecchiato per il nono successo elvetico in terra inglese, invece è ancora la sua sufficienza, mi si passi il termine forte, a rappresentarne il punto debole. Perde una grande occasione, lo fa nel peggiore dei modi. Ci si attende ora, da lui, un riscatto in terra americana.
-Nick Kyrgios, 1: Prestazione imbarazzante per l’australiano, fuori al terzo turno con Nishikori dopo essere entrato in campo, e aver giocato il primo set, con l’intensità di un amatore nel classico doppio domenicale. Un torneo iniziato con tante aspettative sulle spalle nuovamente disattese come nulla fosse. Kyrgios è l’emblema di quel talento folle e pesantemente allergico alla vittoria che tutte le generazioni hanno avuto in dote.
Gli italiani, 5: Come sempre, torneo indigesto per i colori italici, che dopo la sbronza sul rosso escono ai primi turni giocando sui sacri manti. Un folto plotone ai blocchi di partenza, rapidamente decimato da mancanze tecniche evidenti. Fa notizia Fabbiano, capace di imporsi sulla salma di Wawrinka e successivamente ridimensionato da Tsitsipas, che gli concede appena sette game.
Rafa Nadal, 9: Lo spagnolo gioca un torneo emozionante, tornando in semifinale a Wimbledon dopo sette anni di assenza. Primi quattro turni superati con agio, preludio di un quarto con Del Potro (8) da molti ritenuti l’incontro dal maggior tasso qualitativo visto nel corso delle due settimane. In semifinale si supera, dando vita, con Djokovic, ad un incontro da cineteca perso soltanto per qualche episodio sfavorevole. È straordinario vedere come lo spagnolo, disintegrando con onore le inutili dicerie che si ostinano a definirlo un pallettaro buono solo ad arrotare sulla terra, modifichi il suo stile di gioco, effettui smorzate in serie, discese a rete per concludere punti dominati scegliendo l’opzione del lungolinea, a lui così insolita. Si lascia scappare un’occasione importante, forse irripetibile, di vincere lo Slam londinese per la terza volta in carriera, ma lascia dietro di sé soltanto sensazioni positive, immagini che rendono lampante un talento innato al quale pochi, nella storia del tennis, possono essere comparati.
Kevin Anderson, 9: Non si può chiedere di più ad un giocatore capace di battere Federer rimontandogli due set nel giardino di casa e successivamente uscire vincente dalla semifinale più lunga dei Championship conclusa 26-24 al parziale decisivo dopo sei ore e trentacinque minuti di partita. Il sudafricano arriva in finale esausto, vittima di un regolamento che non prevede il tiebreak al quinto e che, sostengo con forza, dovrebbe essere abolito. Non è per compiacere un pubblico desideroso di spettacolo che si deve precludere ad un tennista la possibilità di giocarsi al meglio il turno successivo alla sua vittoria. Purtroppo, nel corso dell’atto finale, è incapace, se non nel terzo, di offrire una vera partita. Dopo la finale agli Us Open, Kevin raggiunge anche quella di Wimbledon. Se in America sfruttò un lato di tabellone denominato “landa della desolazione”, qui è a pieni mani, e a suon di prime, che ottiene, giustamente, un risultato di tale prestigio.
Novak Djokovic, 10: Soltanto pochi mesi fa, convinto più che mai del mio pensiero inscalfibile, scrivevo di un serbo incapace di riprendersi dall’oblio all’interno del quale pareva essersi definitivamente perso, succube di un mistico Guru che con la teoria degli abbracci aveva rovinato l’uomo capace di instaurare, solo un anno prima, la più tremenda dittatura della storia. Nole supera un tabellone complicato ed ottiene con Nadal la vittoria simbolo della propria rinascita. Il tennis mi ha insegnato, in tutti questi anni, quanto sia sbagliato cercare in anticipo di sentenziare ciò che un campione, peggio ancora se si parla di uno con più di 10 Slam, sia in grado o meno di ottenere in futuro. Oggi, alzando al cielo le braccia per la quarta volta, Djokovic si è proposto tra il ristretto elenco di nomi che nel prosieguo della stagione partirà con i favori del pronostico. Dopo ventiquattro mesi di inesistenza, gli avversari torneranno a temerlo ed offrire il massimo per tentare di batterlo. Ora, ottenuta nuovamente la gloria, inizia il difficile.