La subdola follia della Coppa Davis

Ah, la Davis, che splendida manifestazione.
Spettacolo unico ed irripetibile. Tifosi infuocati, giocatori esaltati. Tutto pare così idilliaco da rendere superfluo ed accettabile persino l’orrido spettacolo di alcune partite.
Come ormai classico appuntamento tennistico, l’Italia, per raggiungere i quarti di finale, sfida l’Argentina fortunatamente orfana di Del Potro. Buenos Aires è il teatro scelto per la calda sfida, capitale sudamericana che ospita circa quattordici milioni di abitanti e che, nella sua storia, ha dato i natali a uomini del calibro di Che Guevara, Papa Francesco e Diego Armando Maradona, autentica sciagura della nazionale bianco-azzurra, che, sotto i suoi occhi, puntualmente perde.
Dopo un inizio convincente dei nostri giocatori, due aberranti sfide folcloristiche portano il punteggio in parità, lasciando all’ultima partita l’onore di decidere le sorti della disputa.
Fabio Fognini è l’incarnazione mortale di un essere supremo, ancora ignoto.
Con lui l’universo diventa più chiaro, distinguendo e dividendo con netta semplicità la beatitudine e la dannazione eterna. Sotto di due set, rimonta il banale Guido Pella prendendosi con esagerata fatica il punto decisivo.
Precedentemente, altre manifestazioni di inquietante soprannaturale si erano mostrate nel lentissimo campo in terra rossa, dove, tra un rimbalzo e l’altro, rientravano comodamente tre servizi di Nadal. Qualche ora prima avevo coraggiosamente assistito ad un pericoloso scenario apocalittico. Gli urli di Paolo Lorenzi, sentiti in loop a volume 100 per più di cinque minuti, portano infatti ad un grave caso di ipertrofia muscolare che, entro dieci giorni, provoca l’esplosione di tutti i tessuti corporei. Bravissimo, per carità, solido e concentrato, ma tappategli la bocca, vi prego.
C’era anche Andreas Seppi, stabile Cavaliere del Lavoro. Avrei voluto seguirlo, davvero, ma dopo quattro game di monotono palleggio mi sono addormentato.
È servito quindi Fabio per aggiungere un po’ di brio alla tediosa trama dell’incontro disputato, motivo per cui, come già detto in precedenza, non posso far altro che ringraziarlo. Perché, che vi piaccia o meno, ci è necessario.
Dal Canada, invece, mi giunge notizia di un fatto scriteriato. A dispetto di quanto dicano tutti, la sassata di Shapovalov in fronte all’arbitro è stata volontaria. Non si tratta di cattiveria, certo, ma un banale tentativo emulativo di un dritto vincente alla Giorgi, visto in un video qualche ora prima.
L’errore del giovane canadese è evidente. Non ha spinto abbastanza la palla.
Ovvio.

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