Lo strano caso di Camila Giorgi

L’ho sempre sostenuto e sospettato. Nei cupi uffici di Roma, dove Binaghi gestisce incontrastato gli imperituri e sottomessi addetti ai lavori della federazione, regna il Male più totale.
È di qualche ora fa, infatti, la notizia che mi ha indotto un potente ed incontrovertibile shock, rendendomi incapace di dormire, mangiare e respirare.
Camila Giorgi è stata squalificata nove mesi per essersi rifiutata, lo scorso Aprile, di rappresentare in Fed-Cup i sacri colori della bandiera italiana.
Lei, povera pargola, accusata del triste misfatto, sarà costretta anche a pagare trentamila euro di multa, ulteriore beffa da parte di un movimento ingiustamente accanitosele contro.
Con le lacrime agli occhi, leggo che non potrà neppure partecipare agli Internazionali d’Italia, torneo a lei affezionatosi per il grande carisma che in questi anni ha colpito e coinvolto gli spettatori del Foro, sempre muniti, durante la visone della Nostra, di elmetto protettivo e giubbotto antiproiettile gentilmente offerti dall’esercito italiano, uniche sicure precauzioni nei confronti degli scellerati missili scagliati dalla racchetta della bionda sparapalle.
È dunque definitiva rottura con la nazionale nostrana, incapace di comprendere le visionarie tattiche del padre Sergio, descritto da tanti come assurdo esaltato, ma in realtà genio incompreso in quest’epoca bigotta.
Guardavo giocare Camila agli Australian Open, qualche settimana fa, opposta alla scoordinata Bacsinszky.
In tempi non sospetti, cioè quando ancora si pensava che, seppur ottimamente celato, nella testa della nostra esistesse un minimo di buon senso, ebbe a dire “eh, ma io non sono mica una palettara”.
E infatti spingeva Camila, immersa nella perfida calura australiana che le faceva gocciolare la merlettata vestaglia.
Spingeva sì.
L’avversaria, terrorizzata, schivava con freddezza le scriteriate mazzate della Giorgi, che puntualmente terminavano sui teloni (o in fronte alla Bacsinszky) la loro disperata corsa.
Trovatasi in difficoltà, poi, decise di cambiare tattica, sparando ancora più forte.
La palla, impregnata di cinetica energia, uscì dallo stadio, facendo perdere le sue tracce tra le spumose nuvole boreali. Secondo fonti attendibili, uomini inseriti nel malvagio covo, sembra che il colpo sia atterrato nella capitale  sotto forma di meteorite, formando un cratere nel giardino appena ultimato del presidente Binaghi, che, giustamente, ha preso provvedimenti.
L’accusa, quindi, non è mancata risposta alla convocazione, ma ben più serio tentato omicidio.
Sappiatelo.

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