Questo tennis “stupefacente”

Il caso Llagostera ci fa tornare a riflettere sui controlli, che sembrano scarsi, sul doping, e sulle voci, che si alzano con sempre maggiore frequenza, che accusano

L’idea era quella di offrire al gentile pubblico un gradevole pezzo per una letturina in disimpegno, giusto giusto per mettere quella puntina di tennis nella giornata di tanti.
Scorrendo qualche sito di informazione sportiva, mi imbatto nella notizia appena “pescata” della squalifica per due anni comminata alla tennista iberica Nuria Llagostera Vives per uso illecito di metanfetamina: trascorsi da doppista di buon livello (best ranking n.5 e 15 titoli tra cui spicca un successo alle WTA Tour Finals) caricati di questo macigno che, sebbene si palesi alla soglia dei 34 anni, lascia strascichi importanti per la vita di un atleta e soprattutto serve da catalizzatore in uno scambio di opinioni che dura da anni, e probabilmente altri anni sarà destinato a durare.
Mettere in dubbio ciò che hai appena terminato di scrivere è quanto di più spiacevole possa esserci, vi assicuro, ma di fronte ad un tema così controverso e fondamentale non possiamo che cancellare tutto, lasciar prendere campo ai fatti ed alla risonanza mediatica degli stessi; due tra le cose più distanti in assoluto.
La storia dei controlli antidoping che non vanno scese dal Sinai, ma ci si chiede sempre più insistentemente quando una soluzione sarà realmente presa in esame da chi di dovere, WADA o ITF che sia.
L’ormai istituzione pubblica Roger Federer aveva dichiarato, a margine della conferenza stampa post-vittoria con Gasquet alle Tour Finals, come fosse “più controllato nel 2004 che oggi” e che la responsabilità di tali malfunzionamenti è da attribuire a vari fattori (medici irrispettosi, atleti indisponibili ecc.).
E se lo dice Roger, prendi e segna che la gente legge eccome.
Parla dell’argomento anche Pere Riba, n.128 in classifica, tra le righe della mailbag di Sports Illustrated: dice “Non so se lo stanno facendo, ma sarebbe ingiusto, come è ingiusto che qualcuno sia sospeso due mesi, dodici mesi, o due anni. E’ il valore di mercato dei singoli a pesare, il loro ranking? E’ molto probabile, ma è il principio che deve contare, e deve valere per tutti.”.
I riferimenti a Cilic, Troicki, cose o persone realmente esistite è puramente casuale.
E se lo dice il povero Pere, cosa c’è di diverso?
Alla fine della fiera viene da domandarsi se davvero qualcosa del genere può diventare reale e compromettere la struttura di una pratica, quella antidoping, che dovrebbe essere a tutela del vero sportivo.
Se alle parole non seguono quantomeno dei numeri, conviene sempre cambiare argomento anche se il rischio è quello di passare dalla padella alla brace.
Sfogliando lo storico-dati relativo agli esami della USADA (associazione antidoping statunitense). ci accorgiamo di quanto minimi siano i controlli sullo sport del tennis: 19 i controlli totali, nel primo trimestre 2013, sui 1.919 totali con, udite udite, ben 21 controlli per il wrestling e 35 per il curling, nientemeno che il curling.
Che le verifiche di sangue ed urina ci debbano essere nei vari sport è sicuro, ma questa uguaglianza di considerazione a livello sportivo non può andare a discapito dell’applicazione effettiva di un provvedimento di tale importanza, con troppi tennisti che non rispondono alle richieste di analisi e con federazioni sempre più morbide (i test sono finanziati dalle organizzazioni, dunque a fondi limitati).
Non possiamo cambiare l’ordine costituito? Se i sospettati del ciclismo negli ultimi anni erano saliti a dismisura, il pronto intervento dell’ UCI (Unione Ciclistica Internazionale) ha innalzato a 13.144 i controlli, tranquillizzando spettatori ed addetti ai lavori.
C’è da chiedersi: è possibile, dunque, fare chiarezza e lasciare alle cartelle cliniche il compito di rispondere alle sempre più impellenti domande?
Purtroppo non potranno darci risposte le sacche di sangue sequestrate al dott. Fuentes; quel “Dottor Doping” che aveva dichiarato di servire calciatori e tennisti così come altri sportivi. Decisione quella del tribunale, di distruggere le sacche dopo il processo, che lascia senz’altro un po’ di curiosità addosso. Curiosità che rimarrà curiosità.
A piazzare il carico da undici sul discorso ci pensa Dick Pound, fondatore della WADA (World AntiDoping Agency), che si pronuncia al riguardo in un intervista al britannico newspaper Evening Standard: “Sono sicuro che il doping esiste nel nuoto e nel tennis. Nessuno sport è esente da rischi. Con un po’ di intelligenza, gli altri sport potrebbero imparare dal ciclismo, e trarre vantaggio dal caso Armstrong.” Dobbiamo preoccuparci di trovarci un Armstrong del tennis? Prosegue Pound: “Guardate la differenza nella costituzione fisica, nella struttura muscolare dei tennisti di allora e di oggi, e l’incredibile livello di attività che c’è oggi. Se davvero le autorità del tennis credono che nessuno faccia uso di EPO o ormoni della crescita, vuol dire che non stanno prestando abbastanza attenzione”.
Va detto ad onor di cronaca che nessuno deve essere perseguitato per comportamenti illeciti quando le prove non ci sono, ma avere un quadro completo della situazione, dati alla mano e attenzione ai giusti livelli non farebbe altro che restituire trasparenza ad un qualcosa che, ricordiamocelo, sempre di sport si tratta, e che farebbe bene a regalarci dei nuovi simboli, nuove ottiche dalle quali guardare; magari più innocenti e meno soggette a manipolazioni, con il nostro ruolo che tornerebbe ad essere finalmente quello di fruitori e non di pubblici ministeri, quasi sempre improvvisati.
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