Rafa Nadal, il ritorno della Fenice?

Mentre il sole tramontava in una sera dei primi di luglio, uno dei più grandi tennisti della storia riordinava la sua sacca e, mestamente, usciva dal campo Centrale di Wimbledon, come un comune mortale. Acclamato dalla folla, dall’altra parte della rete, il giamaicano naturalizzato tedesco Dustin Brown, si godeva uno dei suoi momenti di gloria.

Certo, non era la prima volta che Rafael Nadal veniva sconfitto prematuramente, contro ogni pronostico, dal Tempio del tennis. Ma questa sconfitta al secondo turno sembrava, per varie ragioni, una disfatta molto grave e, secondo molti, segno irrimediabile di una fase calante della sua carriera. Neppure un mese prima, il re della terra rossa era stato detronizzato nella sua Parigi dal rivale Novak Djokovic.
Nadal non era riuscito a conquistare il decimo titolo al Roland Garros e nelle altre superfici sembrava sempre più l’ombra di se stesso.
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Il tennis è uno sport crudele, che non concede sconti a chi mostra segni di cedimento, di debolezza, e raramente gli permettere di risalire verso la cima. Nadal ce l’aveva fatta più volte, e in modo clamoroso, è vero: ma ora, a 29 anni e una forma fisica ben lontana dai suoi momenti d’oro, la scalata pare per molti un’impresa quasi irrealizzabile. Anche perché Rafa, oltre alla carenza del fisico, sembra molto più debole anche sul piano mentale, senza motivazione, come spento di una fiamma che lo aveva accompagnato, ardente e luminosa, per quasi dieci anni di carriera nel circuito pro e che lo aveva reso il tennista più competitivo e tenace di tutti i tempi.

Le aspettative sono spesso comuni, tuttavia non sempre si avverano. Con la sconfitta di Rafa a Parigi, molti avevano cantato il de profundis, preparandosi a una imminente vittoria del serbo, aggiungendo alla sua folta bacheca l’ultimo Slam che gli mancava. E invece no: uno straordinario Stan Wawrinka ha deciso di rompergli le uova nel paniere in finale, disputando la sua migliore prestazione in carriera e, probabilmente, una delle più spettacolari che la storia del tennis abbia mai conosciuto. Djokovic si è poi ‘consolato’ trionfando a Wimbledon, anche se il suo vero obiettivo era fallito ancora una volta.

Nel frattempo Nadal se ne stava lontano dai riflettori, incognita vivente di un circuito e di un pubblico sempre più abituato alla sua assenza. Nessuno sa cosa deve essere accaduto nella mente di Rafa, durante il viaggio aereo da Londra alle Baleari, a Maiorca, rifugio casalingo separato dal resto del mondo. Immancabili, come ogni estate, le foto rubate delle immersioni di Rafa con gli amici al largo della costa. Ma mentre, le altre stagioni, quelle uscite costituivano il meritato riposo del campione prima di altri grandi successi, in questo momento assumono le caratteristiche di una consolazione prima di un ritorno sempre più incerto.

Questo ritorno è avvenuto la settimana scorsa, sulla terra rossa di Amburgo. Un Atp 500 che Nadal, con assoluta umiltà, ha scelto perché le sconfitte del periodo recente superavano quelle “degli ultimi dieci anni”. A pochi giorni dall’inizio della stagione sul cemento nordamericano, l’ex n. 1 del mondo ha voluto ripartire sulla sua superficie che l’aveva tradito, per una necessità di sfida personale, scevra da ogni logica di calendario e preparazione ai tornei ‘che contano’. Per Rafa esisteva solo Amburgo, in quel momento, e la cosa più importante del mondo – in quel momento – era vincerlo.

Qui Nadal ha disputato un buon torneo, alternando buone prove a prestazioni eccellenti – ad esempio, la semifinale contro Andreas Seppi -, che hanno fatto ricordare il Rafa dei bei momenti. La vittoria in finale contro Fabio Fognini, più che una lezione di tennis è stata una straordinaria prova di tenacia, forza mentale e voglia di vincere, quella voglia che da tempo non leggevamo più nei suoi occhi.
Il maiorchino, mentre Federer, Murray e Djokovic già si preparavano per la tournée americana, è tornato ancora una volta re, facendo cambiare idea a molti che lo avevano dato per spacciato.

L’appetito, come si dice, vien mangiando. Con il senno di poi, lungi dall’essere la mossa avventata dell’ex-campione che cerca trofei alternativi di consolazione, la partecipazione (e il successo) ad Amburgo può presentarsi come un eccezionale trampolino di lancio per la nuova carriera di Rafa; il quale, nelle ultime dichiarazioni post-vittoria, si è detto uno dei favoriti agli Us Open, si è presentato come un rivale che non intende lasciare spazio a Djokovic o Murray senza prima combattere con tutte le proprie forze. Insomma, la vittoria in suolo tedesco ha dimostrato a tutti, e forse a lui per primo, che Rafa c’è ancora. Una consapevolezza che solo poche settimane fa, dopo il Roland Garros o all’indomani della Caporetto a Wimbledon, sarebbe sembrata una favola per sciocchi.

E’ altamente improbabile che Rafa conquisti il suo 15esimo Slam a Flushing Meadows, segnando il suo ennesimo ritorno fra i grandi. Ma qualcosa è cambiato: se prima lo avevamo dato per morto, ora un po’ tutti noi – in fondo – siamo convinti che ciò potrebbe accadere. Quello che è certo, è che una vittoria di Rafael Nadal a New York, a breve distanza dalla sua caduta nel baratro, lo renderebbe ancora di più immortale, e forse il più formidabile e straordinario tennista di tutti i tempi: come araba Fenice, Nadal dimostrerebbe di nuovo di essere più forte del destino e dei limiti insiti nella natura umana, elevandosi allo status di semi-dio, di una sorta di super-uomo tennistico al quale Nietszche, se fosse ancora nel mondo dei vivi, gli dedicherebbe di certo un capitolo per mostrare l’esempio perfetto della volontà di potenza.

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