“Credo nei miracoli” ha detto Roger Federer, con l’usuale sorriso tenero che cela dolore e fatica, alla fine dell’ennesima epica battaglia. Un’aura magica e carismatica avvolge il genio svizzero approdato al quarto di finale che lo vede opposto al cagnaccio americano Tennys Sandgren, dopo essersi liberato a suon di sortilegi tennistici, dalla morsa del temibile aussie John Millman.
Sì, perché nell’Olimpo delle leggende che Roger abita regalmente oramai da vent’anni, una prodezza segue l’altra. Il campione elvetico, sotto 2 set a 1, si dimentica con ardore e dedizione dell’inguine infiammato e della razionalità che a trentott’anni lo vorrebbe stanco e spento. Sfugge mirabilmente alla sconfitta nel quarto set, vestendo i panni del miglior Houdini ed interpretando un tennis illusionistico che sconforta e scardina silenziosamente le certezze dell’avversario.
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Carezze col back di rovescio seguite da manate fluide di dritto, ed un servizio tornato a funzionare a pieno regime affievoliscono le speranze del tennista statunitense. Giunti al paragrafo finale della sceneggiatura affascinante si percepisce nella Rod Laver Arena un’atmosfera elettrizzante. Roger, tornato magnetico e capace di attirare l’energie emotive del pubblico, trova inspiegabilmente il modo di brekkare il combattente americano e di vincere una sfida che pareva divenuta impossibile.
Con un balzo d’orgoglio dalle ceneri della sconfitta al sogno tennistico, dove in realtà inconsciamente vorremmo rimanesse in eterno. Il fenomeno di Basilea elude le catene della logica e della razionalità, e ci dimostra, ancora una volta, che il senso della vita è credere in qualcosa. Lunga vita al Re, perché con le sue movenze incantate Federer regala l’illusione che la vita possa essere un’eterna domenica mattina soleggiata.