Sottomessi al sadico dominio serbo

Tennis - Shanghai Masters - Men's Singles - Qi Zhong Tennis Center, Shanghai, China - October 14, 2018. Novak Djokovic of Serbia celebrates with the trophy after winning the final against Borna Coric of Croatia. REUTERS/Aly Song

Risuona a Shanghai, come presagio di assolutismo al quale avevamo fortunatamente smesso di fare l’abitudine, il sadico inno serbo, con il gioioso Novak Djokovic che alza al cielo l’ennesimo trofeo della stagione. Trentaduesimo master 1000, un dominio totale che quasi getta nell’imbarazzo gli impotenti rivali costretti a soccombergli senza poter opporre alcuna resistenza. Secondo caratteristiche preimpostate, i vari periodi di dittatura imposti al circuito da Nole hanno sempre avuto un punto in comune: la costanza con la quale, assiduamente, travolge gli avversari con metodologie affini.

Nella finale di oggi, Borna Coric è stata l’ultima vittima, in ordine di tempo, della mortifera macchina tornata ai vertici della classifica, incapace di resistere e reagire ad una perfezione statistica e percentuale alla quale attualmente nessuno sembra potersi avvicinare. Molti hanno visto, nel croato ammirato oggi, la versione scarica e depotenziata del ragazzo capace, solo poche ore prima, di estromettere con agio le membra del Vate Federer, quando invece, pur con un fondo di verità che si cela in questa affermazione, le cose stanno in un altro modo. Il giocatore sceso in campo tra semifinale e finale è stato, eccezion fatta per qualche dettaglio che può essere trascurato nel portare a compimento questa analisi, identico. Diverso, però, l’avversario affrontato. Se Federer, complice un lentezza di piedi sin troppo evidente e una pesantezza di palla spesso insufficiente, gli aveva permesso di comandare gli scambi facendo perno su un poderoso servizio dal quale ricavava punti a profusione, l’estrema solidità di Djokovic e la sua risposta sempre ben impattata si sono rivelati arma letale grazia alla quale impostare la partita sul binario tattico preferito. I due giocano a specchio, con la differenza che, il serbo, risulta essere migliore sotto ogni aspetto. A questo si aggiunge una mancanza di coraggio da parte di Coric che, soprattutto ad inizio match, avrebbe potuto chiudere scambi poi persi seguendo a rete le accelerazioni di rovescio. Con l’aggiunta di questo accorgimento, forse, avremmo assistito ad una sfida più incerta, perché lo spazio ed i tempi per attaccare si sono palesati diverse volte nel corso dell’intera disputa. Invece, rimanendo ancorato a fondo, è rimasto prima preda e poi vittima della trama serba ormai perfettamente consolidata, e le continue difese con il chop di dritto e lo slice di rovescio hanno infine avuto l’effetto sperato, costringendo Borna ad impattare la palla tenendo basso il baricentro e portandolo dunque all’errore.
Djokovic sorride mentre stringe il trofeo, conquistato senza mai perdere il servizio. Con il successo odierno, il ritorno al numero 2 del mondo altro non sarà che il preambolo alla riconquista della vetta, ora sua per diritto e palese superiorità rispetto al resto del circuito. Si parla di rinascita dovuta all’eclissi dei massimi rivali. Il discorso, in parte, può essere considerato corretto, ma è bene constatare anche il fatto che, a livello effettivo, Nole sia tra i tre il migliore, se incontrato al massimo della forma.

C’è poco da fare, la dittatura serba è prepotentemente tornata a rendere plumbeo e sottomesso l’intero panorama del tennis maschile. I suoi tifosi trionfano dopo aver subito due anni di pesanti delusioni, gli affiliati al duo iberico-svizzero confabulano tra loro alleanze valutando come nuovamente incerta la superiorità dei propri numeri.

Io, da sempre avverso alle tirannidi, invoco un nome capace di rendere meno scontato il prosieguo della stagione.
Me ne basta uno soltanto. Sembrerebbe una richiesta banale, invece è simile ad un’utopia irrealizzabile.

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