Un viaggio tra i tifosi: Federer e la retorica scaduta del “Roger è il Tennis”

Ci sono frasi, affermazioni, opinioni o semplici considerazioni che diventano, con il tempo, veri e propri detti comuni, assiomi della maggioranza. Nello sport, poi, ancora di più, e mi riferisco in particolare ad un fenomeno chiave di ogni disciplina, ovvero il tifo. Quando un atleta, grazie ai propri meriti, riesce a catalizzare l’attenzione e ad attirare l’affetto di milioni di appassionati, diventa spesso una vera e propria leggenda, e fioccano, nel passato e ancora di più nel presente grazie alla rete, soprannomi e definizioni che i fans gli attaccano fin dall’inizio. Così è accaduto, inevitabilmente, per Roger Federer. Lo svizzero è senza ombra di dubbio il tennista più amato della storia. Il suo marchio, “Rf”, è un brand affermato e una vera industria; in ogni stadio in cui entra, non importa che sia in Svizzera o in casa dei suoi acerrimi rivali, è acclamato dalla folla; ogni esperto, ex giocatore, avversario o semplice appassionato lo considera, se non il migliore della storia, di sicuro un pretendente a questo titolo, sempre ritenuto non assegnabile ma sempre, in fondo, discusso e conteso. E d’altronde 17 Slam, più di mille incontri vinti in carriera e alcune finali giocate tra le più belle mai viste parlano per lui. Certo, il suo tennis brillante, spumeggiante, aggressivo e spettacolare lo ha reso ancora più popolare e apprezzato, ma bisogna diffidare, io credo, da chi sentenzia convinto “non importa vincere, Roger è amato perché è un genio”. Sono tanti i tennisti, e in generale gli sportivi, che si distinguono per il proprio talento, prima ancora che per i propri successi, ma difficilmente Federer sarebbe diventato un simile fenomeno di massa senza i propri titoli in bacheca.

“LA PUREZZA CONTRO L’EFFICACIA”- Ritornando però al discorso iniziale, capita spesso che quelle frasi, da valide affermazioni, a forza di essere ripetute e passando di bocca in bocca perdono il loro senso, trasformandosi in un ritornello. E’ mia opinione che negli ultimi anni, e in particolare di fronte all’ascesa prima di Rafael Nadal, e poi dell’attuale numero 1 del mondo e dominatore del circuito Novak Djokovic, tutti i discorsi sullo straordinario talento di “Re Roger” sono diventati, da giuste considerazioni su quello che è probabilmente il migliore giocatore (non necessariamente più forte) ad avere mai calcato un campo da tennis, a un ritornello ridondante e retorico in difesa della sua “purezza” di fronte all’ “atletismo violento” del serbo o dello spagnolo. Facendo un giro sui social- e purtroppo, devo dire, anche sui giornali, in certe occasioni- è evidente come negli ultimi anni stia impazzando lo scontro tra gli amanti del “classico”, della “bellezza del gesto”, e tra quelli invece del “pragmatismo e della solidità del robot di Belgrado”. Tra parentesi, ovviamente, ciò che è sostenuto dallo “schieramento” elvetico. La realtà però è diversa e, come spesso accade, più complicata di ciò di cui ci convinciamo e che difendiamo strenuamente.

Quello di cui stiamo parlando è probabilmente il dibattito più caldo e sempre presente in ogni sport, l’eterna lotta tra il “bello” e l’“efficace”, già accennata in precedenza. Conta vincere, o conta dare spettacolo? E’ questo il punto di partenza, che da origine alla lotta tra “Federiani”, che si conferiscono la somma conoscenza del tennis e il titolo di unici intenditori, e gli altri tifosi, che invece ribattono con strampalate accuse che dovrebbero screditare i successi di chi, per ora, ha vinto più di chiunque altro. Insomma, tutto tranne che osservazioni obiettive; ma d’altronde, il tifo non è obiettività. E’ chiaro che il supporter di un dato tennista, o sportivo in generale, difficilmente cambierebbe idea, e che, pur di difendere il proprio beniamino, sarebbe disposto a sostenere tutto e il contrario di tutto. Non è quindi mia intenzione inserirmi nella frattura del tifo, ma semplicemente di fare un’analisi il più possibile obiettiva.

COS’E’, E A COSA SERVE, IL TALENTO? Ora, per rispondere alla domanda di partenza, si può affermare senza dubbio che nello sport ciò che conta è vincere. Non importa come. Un atleta, in linea generale, non scende in campo per divertire la folla, ma per portare a casa il risultato. Ci saranno poi le eccezioni, gli sportivi che giocano per il puro gusto di giocare, e per ricevere gli applausi; una scelta legittima, ci mancherebbe. E qui si tocca, a questo punto, un altro tasto molto importante, onnipresente in ogni disciplina sportiva e non: il talento. Questa parola così sfuggente, indefinibile ma tangibile e riconoscibile. Senza stare a sviscerare tutte le possibili definizioni di talento, limitiamoci a porci una domanda: a cosa serve il talento? In tanti confondono la bellezza del gesto atletico con il talento, e si dimenticano che di talento ne esistono vari tipi. Per Roger Federer, il talento (smisurato) è servito solo a vincere. La fama e l’amore del pubblico è stata una conseguenza. Intendiamoci: vincere con un bel gioco, con colpi straordinari, è meglio di farlo semplicemente ributtando di là la palla, per usare una metafora tennistica; ma non è l’unico modo valido di vincere.

Per i tifosi, Federer è l’unico degno di disputare un incontro, l’unico in grado di dare spettacolo. Gli altri suoi rivali, invece, di talento non ne hanno affatto, e vincono solo per le superfici, per l’atletismo, per l’età, per i materiali delle racchette, per la terba, per la concorrenza, forse anche per gli alieni. Insomma, tutto tranne che per il fatto che sanno giocare a tennis. Follia pura. Tutto ciò ha portato questi fans a creare una divisione, come da bambini quando alla lavagna si scrivevano da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. “Roger è il tennis”. E’ questa la sentenza definitiva. Non ci sono obiezioni possibili. Poco conta se anche gli altri campioni, presenti e passati, sono stati e sono dei tennisti formidabili. E se il tennis, in fondo, vivrà dopo Federer.

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“ROGER E’ IL TENNIS”, RITORNELLO RIPETITIVO E ORMAI VUOTO DI SENSO- Forse è troppo complesso da comprendere, ma provare a screditare chi ha vinto così tanto e raggiunto tali livelli è inutile. Forse Federer ha un gioco più spettacolare degli altri, non c’è dubbio, ma un suo dritto vincente non vale più di quello di un Djokovic, o di un Nadal. Anche loro, a modo loro, hanno talento; forse non si manifesterà in una volée vincente, ma lo farà in un recupero in spaccata, o in un dritto uncinato. Sempre di fare il punto si tratta. Oramai, pur di “difendere” (come se ne avesse bisogno) la purezza del tennis di Roger, si è perso completamente il senso critico, e si trova ogni sistema per sminuire le vittorie dei rivali. Per questo “Roger è il tennis” non è più un’analisi, non più un’opinione basata su fatti. E’, invece, un ritornello, pronunciato con le mani sulle orecchie e ad occhi chiusi. Una retorica scaduta, ottusa. E nel frattempo lui continua a godersi i suoi trionfi e la sua fama, ignaro, e probabilmente completamente disinteressato, di essere l’unico tennista in grado di giocare a tennis.

La verità è che il ragazzo di Basilea è stato il miglior interprete di uno sport, uno dei protagonisti che sono maggiormente riusciti a fare la storia. Ma sempre di un interprete si tratta, e il tennis, che piaccia o no, prescinde dai tennisti. Se è vero che un rovescio lungolinea vincente in anticipo di Federer vale il prezzo del biglietto, è anche vero che quel rovescio possono tirarlo anche Djokovic e Nadal. Magari non così spettacolare. Ma anche loro due, come tutti i grandi campioni presenti e passati, godono di un bagaglio tecnico stellare ed irripetibile. Forse non così completo, non così esteticamente perfetto, ma comunque straordinario. Insomma, il tutto per dire che anche Novak Djokovic e Rafael Nadal sanno giocare a tennis, qualità che, fino a prova contraria, non è limitata dal copyright. Ma in fondo, si sa, “Roger è il tennis”.

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