1° Settembre 2016: 22 anni senza le gesta di Ivan “il terribile”

“Ho più talento io nel mio dito piccolo, di quanto ne abbia Lendl in tutto il suo corpo”. Così affermava John McEnroe, con sguardo sprezzante e severo, ad un indifeso giornalista a cui, quel giorno, era toccato l’ingrato compito d’intervistarlo. Eppure Ivan, così impenetrabile, misterioso ed a tratti malvagio, di strada ne ha fatta eccome. Torniamo un attimo indietro, al 1994. Sul campo centrale degli Us Open, il tedesco Bernd Karbacher si ritrova, inaspettatamente, avanti due set a zero contro il più quotato avversario, che, lungo tutto il corso della stagione, era stato vittima di una moltitudine di infortuni. Il tempo di giocare ancora qualche scambio ed il ceco, stremato e fiacco come mai si era mostrato, fu costretto al ritiro.

Nessuno, in quel momento, poteva immaginare che quella partita, così “tragica” e spietata, sarebbe stata l’ultima apparizione del Terribile, l’ultimo feroce grido di una macchina da tennis costruita con il solo obiettivo di vincere. Un automa estremamente preciso, meccanico nei movimenti e nel cervello, solido nei fondamentali ed estremamente potente. Un connubio tale di perfezione e antipatia, lo rese, agli occhi di un pubblico abituato al genio di Mc, all’irruenza di Jimbo e alla freddezza di Bjorn, il cattivo per eccellenza, il quarto protagonista creato con il solo scopo di rovinare l’armonia creata dagli altri eroi. E per anni, Ivan, quell’armonia non la ruppe.

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Catalogato, senza mezzi termini, come “incredibile perdente”, incapace di dominare nonostante una forza bruta che, alla vista, fusa ad una serie interminabile di goffi tic nervosi, lo rendeva sgradevole. Il destino, però, a volte è strano. Troppo spesso accostato, per evidenziarne maggiormente le differenze, al riccio ribelle che del talento faceva la propria arma principale, ottenne la sua rivincita in quella famosa sfida del 1984 di cui molti si ricorderanno. 6-3 6-2 3-1 in favore di John che, mai come in quell’istante, sentiva tra le mani il trofeo del Roland Garros. Da quel momento, però, l’ira di Lendl iniziò a farla da padrone. Vinse in 5 set e, dall’anno successivo, iniziò a dominare. Un solo tarlo non riuscì mai a togliersi. -Ivan, quante volte ancora proverai a vincere Wimbledon? -Fino a quando o vinco, o muoio. Non lo vincerà mai.

Tecnicamente troppo limitato per trionfare su un’erba così veloce. Il sogno dei Championship, però, non lo abbandonerà mai, e allora guardatelo, mentre scruta con meticolosità il suo atleta, Andy Murray, seduto su quella sedia che troppo spesso sembra stargli stretta. Dietro a quegli occhiali da sole indossati apposta per non far trapelare nessuna emozione, perfettamente coerente con l’atleta che è stato, si può ancora intravedere quella malinconia, che in finale con Cash vide il punto di maggior rilievo, per non essere mai riuscito ad entrare, con entrambi i piedi, nell’Olimpo che avrebbe meritato. Perché Ivan sarà pur “il Terribile”, ma un campione lo è stato davvero. E che campione.

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