In difesa di Monfils

Sono piovute da diverse parti parecchie critiche a Gael Monfils per via della sua “tattica” durante il match contro il numero uno del mondo ieri, nella notte italiana, in occasione della prima semifinale dello Us Open 2016. Si sa che è “Lamonf”, come molti francesi usano chiamare il talento transalpino, è un personaggio decisamente sui generis: svogliato e annoiato, talvolta capace di infortunarsi al primo game di un match per recuperare una palla impossibile (citofonare Seppi) o distruggere un display in un’azioen di gioco, abile “air-player”, giocoliere e funambolo che sa usare bene la sua straordinaria fisicità per irretire il pubblico. In occasione di questa semifinale Monfils si è però superato, offrendo un misto di sfrontatezza e disinteresse davvero poco spiegabili con l’atmosfera di una semifinale Slam.

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Molti, dicevamo, tra gli addetti ai lavori hanno aspramente criticato il francese. Addirittura John McEnroe ha definitivo “inaccettabile” la condotta di Monfils, e se lo dice uno come lui, esperto nel polemizzare a tutte le latitudini, dovrà esserci qualcosa di vero. Andando contro corrente però viene voglia di ringraziare (!) il giocatore francese. Perché mai? Ebbene, dopo 12 sconfitte di fila subite per mano del serbo, Monfils ha provato forse scientificamente a sparigliare le carte in tavola: la sua dichiarazione infatti pare andare in questa direzione, quando candidamente dice “non esiste un solo modo per giocare a tennis”. Del resto, se la “sabr”, ovvero la risposta anticipata al servizio di Federer è stata lodata come una straordinaria gestualità tecnica, perché mai ora, se interpretata da Monfils, dovrebbe diventare un gesto di irriverenza nei confronti dell’avversario?

Ringraziamo dunque Monfils per la sua indolenza, per il suo aver provato a distrarre il suo avversario, per quelle strane traiettorie lente che avevano come obiettivo quello di non dare punti di riferimento al colpitore serbo, stra-favorito e, probabilmente, impermeabile ad ogni tentativo precedente di scardinarne il tetragono gioco. Del resto Monfils non ha giocato con questa tattica indolente dall’inizio: è partito molto male, ha poi provato a tirare a tutto braccio dallo 0-5 in poi e si è accorto sull’1-5 che Djokovic tendeva a calare l’attenzione a causa delle sue stramberie tattiche. Perché mai avrebbe dovuto quindi smettere? Specie se, dati alla mano, si issava fino alla palla del definitivo contro-break nel primo set?

Il serbo ha subito sicuramente il contraccolpo, ma ha avuto poi la capacità di rimettere il match sui binari a lui più congeniali. E qui un altro momento importante. Sotto di due set Monfils veniva bellamente fischiato dai tifosi americani, che pretendevano una partita per accompagnare i loro hot-dog. Che faceva Monfils? Iniziava a tirare tutto, a giocare aggressivo, e riusciva nuovamente a destabilizzare Nole e a portare a casa il terzo set.

Il match è finito come sappiamo, con la vittoria del giocatore più forte. Ma ringraziare Monfils è doveroso, perché, per una volta, ci ha offerto un motivo per sorridere, per stare più attaccati al match, perché ci ha ricordato che il tennis può essere lo sport dei cyborg, ma resta essenzialmente quello degli uomini pensanti, svogliati, dinoccolati e, vivaddio, imprevedibile.

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