La prima estate senza Wimbledon

Queste erano le due settimane in cui si consumava la tragedia del dover studiare per gli esami e nella pausa tra un capitolo e l’altro correre davanti alla tv per vedere cosa stesse succedendo sui campi in erba più belli del mondo.

Spendere parole sulla situazione che tutti abbiamo vissuto e che in altre parti del mondo continuano a vivere non è il motivo per il quale ho sentito il bisogno di sollevare lo schermo del mio laptop ed iniziare a battere ritmicamente sulla tastiera, dando i nervi a chi in casa in questo momento ha deciso di chiudere invece i computer e finire la giornata lavorativa con un aperitivo.

Non è il motivo per cui ho iniziato a scrivere queste poche righe perché non ho parole nuove o particolarmente brillanti per dare conto di cosa è stato sospendere in questi mesi tutte le nostre attività, relazionali, lavorative, quotidiane, e vivere in precario equilibrio tra la paura di contagiarci e contagiare i nostri parenti più deboli, la frustrazione per l’inattività forzata su tutti i fronti della nostra vita o al contrario per l’obbligo di continuare a lavorare, magari solo dietro lo schermo di un computer, senza condividere neanche una pausa pranzo o un caffè con i colleghi, che alla fine c’è stato a chi mancavano anche quelli più odiosi.

Il motivo per cui ho voluto fissare questi sconclusionati pensieri è stato rendermi conto, ancora una volta, di quanto il tennis riempia le vite dei tifosi, invadendole durante l’anno con i suoi diversi colori ed emozioni. Da un po’ non mi immergevo come quando ero più “piccola” nei tornei, né in tv né dal vivo, perché lo studio o il lavoro mi hanno impegnata sempre di più. Ma non ho mai dimenticato cosa si prova quando inizia uno Slam, quando il tabellone di uno dei più importanti tornei del mondo si dipana ancora in bianco, in attesa di essere riempito con i nomi di chi turno dopo turno, giorno dopo giorno, esce vittorioso da quella vita in miniatura che è la partita contro il proprio avversario.

In questo inizio di estate ci è mancato il Roland Garros, con la terra rossa, i gerani e il verde dei teloni di fondocampo. E ci sta mancando, in questa settimana, da morire Wimbledon, a tutti noi che lo abbiamo sempre visto solo in televisione facendo zapping da una partita all’altra, o che qualche volta abbiamo avuto la fortuna di essere fisicamente presenti sui sediolini del centrale o che sogniamo di varcare finalmente, il prossimo anno o quello ancora dopo, i cancelli dell’All England Club. Queste erano le due settimane in cui per me si consumava la tragedia del dover studiare per gli esami e nella pausa tra un capitolo e l’altro correre davanti alla tv per vedere cosa stesse succedendo sui campi in erba più belli del mondo, app con i risultati live costantemente sotto mano. Erano le due settimane in cui cominciava a fare un caldo maledetto, ma a guardare quei tifosi con le fragole, la panna e il tè freddo, quei completini tutti bianchi e i campi verdi, ti sentivi già meglio e magari accendevi anche l’aria condizionata mentre lì a Londra cominciava a piovere, per sentirti più in atmosfera. Erano le due settimane in cui, giorno dopo giorno, contavamo le partite che ancora mancavano al nostro idolo per arrivare in finale. In cui aspettavamo sempre le otto di sera per vedere quale match quel giorno fosse arrivato al quinto set, i tennisti in campo a giocarsela l’uno contro l’altro ed entrambi contro il buio che avanza. Quest’anno non c’è nulla di tutto questo, c’è solo la ripresa parziale e stentata della vita di prima, c’è l’incertezza per come andranno le cose nei prossimi mesi, c’è il dubbio su che fine faremo in questa estate piena di sole e di voglia di recuperare. C’è addirittura l’erba in tv, ma non è quella di Wimbledon quanto quella della Serie A.

Ancora una volta quindi ricordiamoci della fortuna che abbiamo avuto a vivere quest’epoca meravigliosa di tennis, delle partite storiche a cui abbiamo assistito, del nostro amore per lo sport più bello. E ricordiamoci quanto sia importante coltivare le nostre passioni e fare le cose che ci piacciono e che ci trasmettono delle sensazioni vere, che poi, fateci caso, sono quelle le cose che emotivamente ci hanno salvato durante questi mesi di lock-down.

Benedetta De Paola

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