Per quante volte abbiamo pensato, vedendo uno dei super-atleti dei tempi moderni, che il loro processo di invecchiamento fosse più lento di un comune mortale? Tutte supposizioni che non trovano prove fondate, ma dietro cui si nasconde la nostra più profonda ammirazione. Nel caso di Novak Djokovic, però, la prevenzione contro l’invecchiamento, così come patologie di diverso tipo, è accertata. Da quando ha scoperto di essere intollerante al glutine, il campione serbo si è messo all’opera per prendersi maniacalmente cura del proprio corpo. Questo continuo studio, questa continua ricerca per trarre il meglio da sé stesso l’ha portato, oltre che a diventare uno dei migliori atleti della storia dello sport, ad avere delle convinzioni che ai tempi del Covid-19 stanno generando molte polemiche. Tra le tante sperimentazioni di Djokovic sul proprio corpo, ce n’è una che non tutti conoscevano e conoscono, e che qui di seguito proveremo a spiegare.
In una delle tante conversazioni in diretta sul suo account Instagram, il numero uno del mondo ha invitato Dragan Ivanov, professore all’Istituto Superiore di Pedagogia di Novi Sad, in Serbia. Vegetariano sin dalla nascita, Ivanov è anche un dottore specialista di medicina interna. Concordando col connazionale nel ribadire la colazione come pasto più importante della giornata per tutti noi, Djokovic ha rivelato un altro importante dettaglio delle sue abitudini alimentari. La posizione del talento di Belgrado quanto all’eventuale vaccino per il coronavirus ha acceso una importante discussione, considerando anche la figura che le pronuncia. Anche la pratica dell’autofagia è una scelta. Può avere i suoi rischi, ma è comunque supportata da ricerche importanti. Nel 2016, il biologo giapponese Yoshinori Oshumi ha studiato il processo autofagico osservando il lievito usato per fare il pane. Un lavoro valso al nipponico il Premio Nobel per la medicina nello stesso anno.
Autofagia è un termine derivante dal greco che indica “mangiare sé stessi”. È attinente alla biologia e si riferisce ad un processo catabolico (per il rilascio di energia nel corpo) che permette alle nostre cellule di rinnovarsi. Si tratta di un auto-riciclo cellulare durante il quale queste riescono a degradare e a rimuovere i propri costituenti danneggiati e/o invecchiati. Presupponendo una funzione e una capacità di questo genere, l’autofagia dovrebbe in effetti servire a rallentare il processo di invecchiamento del corpo. Gli scienziati, nel frattempo, hanno provato come l’autofagia sarebbe un meccanismo di difesa importantissimo contro alcune malattie come i morbi di Parkinson e Huntington o alcuni tipi di demenza.
Da cellule danneggiate si sviluppa praticamente ogni tipo di cancro, quindi gli studiosi stanno ora osservando il comportamento del corpo con l’autofagia in corso. La capacità del corpo stesso di riconoscere e distruggere le cellule da cui potrebbe svilupparsi un cancro potrebbe portare a scoperte decisive in campo medico nei prossimi anni. Attorno agli studi sull’autofagia, difatti, c’è molto ottimismo in campo scientifico. Già si parla di utilizzare terapie che sfruttino tale processo nei pazienti malati di cancro.
Ma la strada è ancora lunga, diverse sono ancora le incertezze e non è tutto oro quel che luccica. Il meccanismo dell’autofagia, del tutto naturale, serve a Djokovic per migliorare la resistenza del corpo a diverse malattie. La ragione per cui un atleta come il 33enne serbo tiene all’attivazione del meccanismo autofagico sta disponibilità immediata di carburante energetico, fornito anche in mancanza di cibo o situazioni di stress. Questo vale per ognuno di noi, anche quando l’autofagia aiuta ad eliminare virus e batteri dopo un’infezione. Ma tutto ha il suo prezzo. Quasi sempre, considerando la totalità del giorno, per sedici ore Djokovic deve digiunare. In tal modo, può assumere l’apporto calorico a lui necessario in pasti sempre ridotti, ma concentrati in otto ore.
Essendo legata poi ad ogni cellula danneggiata presente nel nostro corpo, l’autofagia potrebbe anche favorire la resistenza di un tumore ad alcuni trattamenti, rendendo quindi la guarigione molto più complessa. Invitiamo alla prudenza nella lettura, ricordando che essere Novak Djokovic non porta evidentemente vantaggi solo dalla nascita per la predisposizione del corpo e della mente ad alcune cose. Essere il tennista più forte del mondo vuol dire avere anche la possibilità e i mezzi per controllarsi al meglio. E quindi poter scegliere, presupposto quanto sopra, un’abitudine per la nutrizione così radicale. Tanto di cappello comunque, ad un’attenzione del genere al proprio corpo. Col suo staff, Djokovic potrebbe essersi documentato moltissimo, consultando diversi specialisti.