Questione di tempo (About time). (Gran Bretagna, 2013, 123 minuti). Regia e sceneggiatura di Richard Curtis (come regista “I love radio rock” e “Love actually”; come sceneggiatore tra gli altri “Quattro matrimoni e un funerale” “Notting Hill”, i film di “Mister Bean”, di cui è uno degli ideatori, e Bridget Jones). Personaggi e Interpreti principali: Tim, il protagonista (Domhnall Gleeson, già in “Non lasciarmi” e negli ultimi due Harry Potter); il padre (Bill Nighty); Mary, che sposa Tim (Rachel Mc Adams, avvezza ai film con viaggi temporali, da “Midnight in Paris” a “Un’amore all’improvviso”).
Il tennis come gioia. Proprio all’inizio del film, ma l’inizio e la fine in un film sui viaggi nel tempo sono di importanza relativa, una meravigliosa scena di tennis. Ma andiamo con ordine.
Tim vive con una famiglia discretamente disfunzionale (il padre ha smesso di insegnare all’Università a 50 anni, la madre è una solida e intelligente massaia inglese, la sorella è una ragazza con uno sguardo perduto, lo zio vive con loro vestito come un lord senza fare nulla di tangibile ogni giorno) in un paesino sperduto della Cornovaglia battuto dal vento. Ogni giorno prendono il tè alle cinque in riva al mare. Una volta a settimana guardano un film all’aperto proiettato su una parete. L’ultima notte dell’anno organizzano una gran festa con tutti i giovani del paese. Tim prova a buttarsi con una ragazza poi non lo fa. La mattina del primo, deluso, apprende dal padre che i maschi della loro famiglia possono viaggiare all’indietro nel tempo per rifare cose fatte male. Dimostrata la veridicità dell’affermazione si innamora perdutamente di Charlotte, una ragazza che passa da loro l’estate. E come viene materializzata la felicità assoluta di quell’estate? Facendo una improbabile partita di tennis. Un doppio Tim e la sorella Kit Kat contro Charlotte e un amico di Tim, fulvo come il protagonista, con lo zio D che si porta la scaletta per fare il giudice di sedia. E quei brevi momenti che verranno ripetuti lungo il film come gioia assoluta, su uno spiazzo erboso inspiegabilmente battuto dal vento che non impedisce il gioco, raccontano tutto su come il tennis, nell’immaginario britannico ma verrebbe da dire commonwealtiano, possa essere, soprattutto nella memoria successiva, la perfetta rappresentazione della felicità.
Nel proseguo del film Charlotte si rivela solo una strada sbagliata: Tim sposa Mary, conosciuta in un ristorante per ciechi e poi riconquistata ad una mostra su Kate Moss poichè la prima linea temporale era stata cancellata. Rivede Charlotte a Londra una sera e arriva, ricordando proprio quel pomeriggio con la racchetta in mabo, sulla porta della casa della ragazza prima di tornare da Mary.
Ma il tennis torna, trasfigurato, nelle partite di ping pong che rinsaldano il rapporto tra Tim e il padre fino all’ultima partita che Tim va a giocare nel passato con il padre già morto ma con la nascita della terza figlia che impedirà di ritornare a conoscerlo.
Il film, che oltre a una splendida commedia sentimentale è anche una riflessione arguta sul tempo e la vita quotidiana, tiene lo sport con le racchette come angolo di quiete nel susseguirsi delle vicende della vita, quasi una sospensione dello scorrere del tempo. Curtis, un abitué di Wimbledon, non poteva non illuminarci sulla nostra fortunata condizione di fanatici del game set match.