Adria Tour: è andata come tutti ci aspettavamo

Sappiamo tutti quanti, ormai, che l'Adria Tour organizzato da Novak Djokovic ha preso la peggior piega possibile, tiriamo quindi le somme.

L’Adria Tour non s’ha da fare, questo è quanto emerge dal comunicato emesso tramite il proprio profilo Instagram dagli organizzatori stessi del torneo. D’altronde, sospendere la serie di esibizioni nei paesi balcanici è l’unica scelta possibile ormai: dopo la conferma della positività al Covid-19 di Dimitrov, Troicki, Djokovic, Coric e Nikola Jankovic, cestista serbo, continuare sarebbe stato se non altro folle.

Purtroppo, come è noto a tutti, quello che sembra l’inizio di un nuovo focolaio del virus nell’est europeo non è frutto del caso, ma di errori totalmente umani. Infatti, da settimane le immagini delle partite di Belgrado e Zara facevano storcere il naso a molti spettatori: come è possibile ignorare le regole di sicurezza e distanziamento applicate in metà mondo come fosse niente? La risposta fornita da Novak Djokovic, organizzatore e primo sostenitore della manifestazione, è stata che “non abbiamo superato alcuna linea”, in quanto le misure prese in Serbia e Croazia permettono di svolgere eventi del genere ignorando distanziamento sociale e l’utilizzo di mascherine. Un’organizzazione più che legittima e quindi priva di colpe, giusto?

No, proprio no. “Il tour è stato pensato per aiutare i giocatori, affermati e in rampa di lancio, provenienti dall’est europeo a giocare incontri competitivi mentre i vari circuiti sono fermi a causa del Coronavirus”, afferma Djokovic nel comunicato che ha confermato la sua positività al virus, che continua dicendo: “Abbiamo organizzato il torneo nel momento quando il virus si è indebolito, pensando che ci fossero le condizioni per svolgerlo. Purtroppo il virus è ancora presente ed è una nuova realtà con cui stiamo ancora imparando a convivere”.
Personalmente, è difficile contenere l’incredulità davanti a parole del genere: come è possibile non comprendere l’entità di una pandemia globale dopo oltre 6 mesi di discussioni a suo riguardo? Come si può ignorare la morte di oltre 476mila persone a livello globale? Certo, i presupposti non sono certo malvagi ma filantropici (i ricavati sono andati in beneficienza), ma non si può scusare una mancanza tale di buonsenso: a 33 anni passati, essendo il numero 1 al mondo e con cognizione di causa, sarebbe stato davvero facile immaginare la marea di persone che si sarebbe presentata ad ogni incontro e, sempre col sopracitato buonsenso, si sarebbe capito che non è proprio periodo per assembramenti del genere.

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"The moment we arrived in Belgrade we went to be tested. My result is positive, just as Jelena's, while the results of our children are negative. Everything we did in the past month, we did with a pure heart and sincere intentions. Our tournament meant to unite and share a message of solidarity and compassion throughout the region. The Tour has been designed to help both established and up and coming tennis players from South-Eastern Europe to gain access to some competitive tennis while the various tours are on hold due to the COVID-19 situation. It was all born with a philanthropic idea, to direct all raised funds towards people in need and it warmed my heart to see how everybody strongly responded to this. We organized the tournament at the moment when the virus has weakened, believing that the conditions for hosting the Tour had been met. Unfortunately, this virus is still present, and it is a new reality that we are still learning to cope and live with. I am hoping things will ease with time so we can all resume lives the way they were. I am extremely sorry for each individual case of infection. I hope that it will not complicate anyone's health situation and that everyone will be fine. I will remain in self-isolation for the next 14 days, and repeat the test in five days.”

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Ponendo la questione in prospettiva, però, si riesce in parte a placare la frustrazione per questa situazione: d’altronde, qua in Italia, siamo stati fortemente toccati da questa emergenza e il rispetto di certe norme è diventato ormai la norma; per altri paesi, in cui il Covid-19 è giunto in maniera più lieve, è complicato comprendere quanto esso sia pericoloso: in fondo pure noi, finché non ce lo siamo trovati  in casa, faticavamo a realizzarne la portata. Anche questo punto in difesa del serbo, però, è particolarmente debole: continuando il paragone con l’Italia, la nostra poca comprensione del pericolo è in parte scusata dalla novità, in quanto il nostro è stato uno dei primi paesi europei ad essere colpito; per stati come Serbia e Croazia, in cui sono stati disputati gli incontri, questo fattore non è in alcun modo considerabile, se non implicando anche la completa astrazione da quella che è la realtà. Inoltre, girando un po’ il coltello nella piaga, già dal 12 giugno, numerosi giornalisti esprimevano dubbi sullo svolgersi del torneo, sottolineandone l’assenza di distanziamento sociale e di altre misure di prevenzione.

In ultima battuta, però, è anche giusto spezzare una lancia, in favore di Djokovic. Infatti, la sua posizione risulta essere davvero complicata: certo, è stato il maggiore promotore del torneo, ma non l’unico organizzatore. Ha partecipato direttamente al torneo, ma non è stato l’unico. Alla fine della fiera, quindi, il serbo è certamente tutt’altro che privo di colpe, ma è da sottolineare chiaramente come non sia l’unico ad averne.

Che dire della questione nel suo complesso, quindi? A questo punto, l’importante è non perdere d’occhio quale sia il vero dramma: per quanto l’incredulità e la rabbia nei confronti di un’organizzazione scellerata siano forti, questo virus metterà in pericolo numerose vite, sia tra i partecipanti diretti che tra gli spettatori. Dunque, seppure questo punto non sia salvo da obiezioni (perché non tutti hanno l’accessibilità alle cure con la stessa facilità di Djokovic e altri), una volta smaltita l’incredulità e la rabbia per questa situazione, sarebbe opportuno sperare che questo nuovo focolaio non proliferi. Anche perché il tennis, quello vero, manca un po’ a tutti.

 

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