Andy Murray: “Tornerò ad allenare, ma non subito”. Il bilancio dell’esperienza con Djokovic e uno sguardo al futuro

Andy Murray racconta l’esperienza da coach di Novak Djokovic e apre alla possibilità di un futuro nel ruolo. “Lo rifarei, ma non subito”. Ecco cosa ha detto.
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Un’arena che porta il suo nome

In un giorno carico di emozioni al Queen’s Club di Londra, la storica sede ha reso omaggio a uno dei suoi più grandi protagonisti: il campo centrale è stato ufficialmente intitolato Andy Murray Arena. Un tributo non solo ai cinque titoli vinti su quell’erba, ma a una carriera che ha lasciato un’impronta indelebile nel tennis britannico e mondiale. In questa occasione, Murray ha anche riflettuto sulla sua recente e inattesa avventura da coach di Novak Djokovic e ha aperto uno spiraglio sul suo possibile futuro fuori dal campo.

L’imprevista chiamata di Djokovic

Dopo il ritiro dalle competizioni annunciato per il post-Olimpiadi 2024, Murray non pensava certo di passare subito al coaching. Eppure, quando ha ricevuto la chiamata di Djokovic — il più grande rivale della sua carriera — non ha saputo dire di no. “Non avevo intenzione di iniziare ad allenare subito dopo aver finito di giocare, ma è stata un’opportunità davvero unica”, ha spiegato Murray a BBC Sport.

L’esperienza, durata solo quattro tornei, non ha portato ai risultati sperati: Djokovic non ha sollevato trofei in quel periodo e il suo gioco non ha mostrato miglioramenti evidenti. Eppure, per lo scozzese è stato un percorso formativo importante. “È stata l’occasione di imparare da uno dei migliori atleti di tutti i tempi. Abbiamo trascorso momenti davvero piacevoli fuori dal campo. I risultati non sono stati quelli che volevamo, ma ci abbiamo provato”.

Coach, ma con calma

Pur consapevole di avere ancora molto da imparare nel ruolo di allenatore, Murray non esclude affatto un ritorno in panchina. “Lo rifarei prima o poi. Non credo che accadrà immediatamente”, ha dichiarato. L’esperienza con Djokovic gli ha offerto una nuova prospettiva: “Si impara molto su come lavorare in squadra. Da atleta individuale sei il centro dell’attenzione, ma come coach devi sapere come far arrivare il tuo messaggio, capire cosa motiva il giocatore. È qualcosa su cui devo ancora lavorare”.

Insomma, un primo passo nel mondo del coaching che potrebbe aprire la porta a un secondo capitolo della sua carriera tennistica, magari accanto a giovani talenti in ascesa.

Generazioni a confronto

Guardando al panorama attuale del tennis maschile, Murray si mostra entusiasta ma anche prudente. Riconosce i progressi di giocatori come Carlos Alcaraz, Jannik Sinner e il britannico Jack Draper, ma invita a non dimenticare l’eredità lasciata dai Big Three: Federer, Nadal e Djokovic.

Sull’ipotesi che Sinner e Alcaraz siano già pronti a battere il miglior Nadal al Roland Garros, Murray risponde con cautela: “Ho sentito alcuni esperti dire che sarebbero favoriti, ma sarei più cauto. Stanno facendo grandi cose, ma ci vuole tempo per costruire quello che hanno fatto Roger, Rafa e Novak”.

E parlando di Draper, Murray si mostra fiducioso: “Jack sta andando benissimo. Si darà l’opportunità di vincere Major nei prossimi cinque, dieci anni”.

Un futuro da protagonista, anche fuori dal campo

Oggi, anche se il suo tennis — come ha ironizzato lui stesso — è “diabolico”, Murray resta uno dei volti più rispettati e ascoltati del panorama tennistico. La sua esperienza con Djokovic potrebbe essere stata solo l’inizio di una nuova carriera dietro le quinte, ma il suo contributo al tennis, dentro e fuori dal campo, è destinato a durare ancora a lungo.

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