Evan King non ha dubbi: “Preferisco giocare in Europa. Lontano dagli USA mi sento più al sicuro”

Quando il razzismo crea paure e angosce: Evan King racconta il periodo difficile vissuto lontano dai campi da tennis. Dalle passeggiate nei cimiteri alla costante sensazione di non essere al sicuro

La situazione socio-culturale che sta vivendo l’America ha portato tante persone, sportive e no, a fare una sorta di “coming out” per raccontare episodi di razzismo che li ha visti coinvolti in prima persona. L’ultimo tennista, in ordine cronologico, è stato lo statunitense Evan King.

Nel podcast Behind The Racquet – il cui fondatore è il collega e e connazionale Noah Rubin – l’attuale numero 407 del ranking ATP ha deciso di “togliere la maschera” e si è lasciato andare, confidando anche i pensieri più bui.

Nel 2015 avevo deciso di lasciare il tennis professionistico e dedicarmi ad uno stile di vita che si può definire normale. In quel periodo ho avuto modo di riflettere oltre ad entrare in contatto con una realtà, che poi è quella attuale, che davvero mi ha fatto paura” racconta Evan King.

Poi, la sua storia continua: “Ci furono tanti omicidi di persone nere e non tutte attirarono la stessa attenzione sui media. Il più noto fu quello di Trayvon Martin”. E, in momenti difficili come quelli il pensiero che attraversava la mente di Evan King era uno solo: “Mi sono reso conto che uno di quelle persone che sono state uccise sarei potuto essere io”.

instagram.com/evankingchicago

All’epoca lo statunitense, classe 1992, aveva solo 22 anni. Scene e pensieri con cui è difficile riuscire a convivere: “Tutto questo ha portato la mia mente a sprofondare nel buio. Ho iniziato a pensare che cosa avrei lasciato in eredità al mondo se fossi morto all’improvviso. Ho pensato di volere un figlio per lasciare un segno del mio passaggio nel mondo”.

L’obiettivo di Evan King era diventato riuscire a vivere almeno fino a 25 anni: “Mi sembrava un tempo giusto per ritenermi fortunato”. Adesso però tutto è cambiato, o quasi. All’età di 28 anni ha ripreso la sua attività agonistica: “Nel tempo ho imparato a gestire le mie ansie e le mie paure”.

Il tennis giocato nel proprio paese è sempre fonte di grande entusiasmo per i giocatori. Non solo c’è il pubblico che, nella stragrande maggioranza, pronto a sostenerti ma anche l’atmosfera di casa è una freccia in più al proprio arco. Ma, non per tutti.

Evan King, in questo caso si può definire un tennista “anomalo”: “Sono uno dei pochi giocatori degli Stati Uniti che preferisce giocare in Europa. Certe volte mi sento più sicuro a camminare per strada in paesi che dovrebbero essere più pericolosi di quello in cui sono nato come ad esempio Bosnia o Kazakistan”.

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