Un campione silenzioso che ha cambiato il tennis
Per chi ha vissuto il tennis degli anni ’80, Ivan Lendl è un nome che evoca rigore, concentrazione e una freddezza glaciale. Ma oggi, a 65 anni, l’ex numero uno mondiale appare profondamente trasformato. In occasione di un’esibizione ad Augusta contro Gustavo Kuerten, Lendl si è raccontato in una rara intervista, lasciando emergere un lato più disteso e riflessivo della sua personalità. “Non l’ho mai trovato divertente. Molti non si sono neppure sforzati di volermi realmente conoscere”, ha confessato, spiegando come la sua apparente rigidità fosse solo dedizione al gioco in un’epoca in cui affrontava giganti come Borg, McEnroe, Wilander e Connors.
Otto volte vincitore di uno Slam e naturalizzato statunitense nel 1992, Lendl è stato uno dei protagonisti del passaggio del tennis da sport spettacolare a disciplina iper-professionale. “Il tennis è diventato molto più esigente a livello fisico e questo si riflette anche negli allenamenti”, ha detto, riconoscendo come il gioco moderno abbia raggiunto un’intensità tale che persino lui oggi “sarebbe spacciato contro i top 5”.
La rinascita da coach e il successo con Andy Murray
La seconda carriera di Lendl non è stata meno brillante della prima. Come allenatore, ha segnato profondamente il percorso di Andy Murray, accompagnandolo dal 2012 al 2023 – con qualche pausa – verso due trionfi a Wimbledon e il raggiungimento del primo posto nel ranking ATP. Un traguardo che ha chiuso un cerchio, colmando il rammarico personale di Lendl per non aver mai conquistato i Championships da giocatore.
Nel raccontare il rapporto con Murray, Lendl ha rivelato come l’allenamento abbia dato un nuovo senso alla sua esperienza sportiva. La collaborazione è stata intensa e proficua, capace di portare Murray nel club esclusivo dei Fab Four. “Ogni tanto mi capita di vedere in TV giocatori con cui mi immagino di poter lavorare in base al loro stile di gioco”, ha detto, pur precisando di non essere attivamente alla ricerca di un nuovo allievo: “L’interesse dovrà venire dal giocatore stesso”.
Djokovic GOAT senza discussioni (e qualche riflessione su Sinner)
Lendl non si sottrae al dibattito su chi sia il più grande tennista di sempre. Per lui, il verdetto è chiaro: “Chiunque alla fine della sua carriera avrà vinto più titoli dello Slam potrà dirsi il miglior giocatore dell’Era Open. E dato che Djokovic ne ha 24, è lui il numero 1”. Una presa di posizione netta, motivata anche dalla sorpresa per come siano stati frantumati record che sembravano intoccabili: “Pensavo che il record di Pete Sampras durasse di più. Nadal ha vinto 14 volte solo il Roland Garros, è folle!”.
Non mancano, nel suo sguardo sul presente, i riferimenti al nuovo astro del tennis mondiale, Jannik Sinner. Interrogato sulle similitudini tra sé e il tennista italiano, Lendl riconosce dei tratti comuni, ma con cautela: “È vero che ci sono alcune similitudini. Ma è sempre delicato comparare due tennisti di epoche diverse”. Un giudizio che pesa, soprattutto considerando l’autorevolezza dell’uomo che ha plasmato una generazione di campioni.
Il tennis oggi? Meno libero, più regolato
Se il tennis di oggi appare tecnicamente straordinario agli occhi di Lendl, il suo giudizio sulla dimensione umana e mediatica del gioco è più critico. “Le personalità ci sono, ma c’è un quadro che li priva della libertà di muoversi liberamente. Ed è un peccato. Troppe cose ormai sono regolate dettagliatamente”, ha concluso con un pizzico di nostalgia.
In un’epoca in cui l’attenzione è tutta sui riflettori e sulle dichiarazioni a effetto, Ivan Lendl resta un’icona di sobrietà e concretezza. Un campione capace di cambiare il tennis due volte: prima in campo, poi da bordo campo. E che oggi, con uno sguardo sempre lucido e appassionato, continua a raccontare la sua verità, senza mai cedere al compromesso.