Williams, Stephens, Keys e Vandeweghe: una striscia di stelle su New York

L'ultima volta che quattro statunitensi avevano raggiunto le semifinali in uno slam fu a Wimbledon 1985.

Sarà la sesta volta nell’Era Open che il singolare femminile di un major verrà disputato da quattro statunitensi. Era già successo in Australia (1983), a Wimbledon (1982 e 1985) e altre due volte proprio a New York (1979 e 1981). Il denominatore comune del passato è stata Martina Navratilova, sempre presente nelle occasioni citate, anche se sappiamo che l’estrazione tennistica della fuoriclasse mancina è cecoslovacca e non americana.

Erano dunque oltre vent’anni che gli Stati Uniti non monopolizzavano la fase finale di uno slam ed è abbastanza curioso che ci siano riusciti proprio in concomitanza con la forzata sosta ai box della loro rappresentante di maggior valore, ovvero Serena Williams. A colmare la lacuna ci hanno pensato una veterana e tre giovani (non giovanissime, però) che finora avevano sempre zoppicato nel torneo di casa: Venus Williams, Sloane Stephens, Coco Vandeweghe e Madison Keys.

A parte “zia” Venus, le altre tre rappresentano la punta di un iceberg che la federazione a stelle e strisce è riuscita a edificare con lungimiranza, pazienza e idee assai chiare. Anche se le Williams costituiscono un caso a parte, è innegabile che l’impatto delle sorelle afroamericane sul movimento femminile statunitense sia stato di grande effetto. Il solo fatto che la formazione tennistica di Venus e Serena sia iniziata nei campi pubblici del ghetto di Compton ha costituito un segnale forte e importante per chi volesse avvicinarsi al mondo della racchetta e poco importa, allo stato attuale, se l’estrazione delle altre semifinaliste di questi US Open abbia poco o nulla a che fare con quella delle “Sisters”.

Ma chi sono e come sono arrivate a tanto le magnifiche quattro che questa notte (inizio ore 19 di New York, l’una in Italia) si sfideranno nel doppio derby che vale la finale?

Venus Williams è la veterana del gruppo (ha compiuto 37 anni il 17 giugno scorso) e ha debuttato agli US Open nello stesso anno in cui è stato inaugurato l’Arthur Ashe Stadium (1997) conquistando subito la finale, poi persa contro Martina Hingis. Campionessa nel biennio 2000/2001, è alla diciannovesima presenza a New York (ha saltato le edizioni 2003 e 2006) e alla nona semifinale (quattro vinte e quattro perse il bilancio). Affetta da anni dal morbo di Sjogren, Venus sembrava sul punto di abbandonare il tennis qualche anno fa dopo quattro stagioni caratterizzate da risultati deludenti (mai oltre il quarto turno in un major nel periodo 2011-2014). Invece, anche grazie alla consapevolezza di poter convivere con la malattia, dal 2015 in poi è tornata competitiva agli altissimi livelli e in questa stagione ha già conquistato la finale sia a Melbourne che a Wimbledon. Accreditata della testa di serie n°9, Venus ha battuto nell’ordine Kuzmova, Dodin, Sakkari, Suarez Navarro e Kvitova.

La sua sfidante è Sloane Stephens, afroamericana di 24 anni e attualmente n°83 del mondo, dopo essere scivolata fino ad oltre la novecentesima posizione a causa della frattura da stress a un piede (con conseguente operazione) che l’ha tenuta lontana dai campi per quasi un anno. Dopo le sconfitte al primo turno a Wimbledon e Washington, Sloane ha infilato due ottime semifinali consecutive a Toronto e Cincinnati e stanotte giocherà la seconda in uno slam, dopo quella ottenuta a Melbourne nel 2013 battendo nientemeno che Serena Williams. Anche lei, come Venus, ha lasciato per strada tre set: con Cibulkova al secondo turno e con Goerges e Sevastova negli ottavi e nei quarti; percorso netto invece contro Vinci e Barty. Sloane gioca un tennis apparentemente senza sforzo e ha battuto la connazionale nell’unico confronto diretto, disputato nel 2015 al Roland Garros. Ma la terra rossa è la sua superficie preferita mentre è la più ostica per la Williams.

Il secondo match sul centrale di Flushing Meadows vedrà opposte, per la terza volta in poche settimane (e anche complessivamente), Madison Keys e Coco Vandeweghe. Anche loro, come la Stephens, hanno già avuto modo di assaporare in passato il clima di una semifinale slam ma, proprio come la loro compagna di nazionale, l’hanno fatto in Australia: Madison nel 2015, Coco quest’anno. Allieva di Lindsay Davenport, la Keys (22 anni) ha saltato per infortunio tutta la parte iniziale del 2017 e nei primi sette tornei giocati ha collezionato altrettante sconfitte intervallate da qualche vittoria poco significativa. A Stanford, però, Madison ha ritrovato la chiave del suo gioco e a farne le spese sono state Muguruza e Vandeweghe, ritrovate quindici giorni dopo a Cincinnati: con la connazionale è tornata a vincere mentre la spagnola si è presa la rivincita battendola 7-6 al terzo set. Nel suo percorso verso le semifinali, Madison ha sconfitto Mertens, Maria, Vesnina, Svitolina e Kanepi.

Infine, Coco. La bionda newyorchese ha giocato a sprazzi in questo 2017: momenti di grande ispirazione (semifinale agli Australian Open, finale a Stanford, quarti a Madrid e Wimbledon oltre a quattro vittorie su quattro in Fed Cup) alternati ad altri di buio completo (ben sette eliminazioni al debutto) ma la cura di Pat Cash sembra stia dando i suoi frutti e ieri la Vandeweghe si è imposta con autorevolezza alla (ex) numero 1 del mondo Karolina Pliskova. Anche se la ceca l’ha “accusata” di giocare sempre allo stesso modo, in realtà Coco sa fare molte cose e assai bene; purtroppo, talvolta si fa prendere dal nervosismo o dalla fretta e non viene adeguatamente ripagata dalla violenza dei suoi colpi. Oltre alla Pliskova, nel torneo ha battuto (in ordine inverso) Safarova, Radwanska, Jabeur e, al debutto, la connazionale Riske.

La rivoluzione americana potrebbe essere iniziata da questi US Open. Forse mamma Serena e zia Venus hanno trovato le loro eredi, anche se entrambe non hanno ancora abdicato. La notte ci dirà chi delle quattro avrà un brusco risveglio e chi invece continuerà a sognare.      

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