Immaginiamo di cominciare a giocare a tennis sin da piccoli e di essere anche molto bravi. Le prime vittorie arrivano subito e con gli anni, nel circuito juniores, la fama supera di gran lunga le aspettative: subito due titoli Slam e altrettante finali con annesso approdo nel circuito pro. C’è un però, sicuramente più imponente della crescente fama, che come in questo caso può influire sul prosieguo della carriera: un’eredità tennistica mastodontica, con le figure pesanti di due come Borg ed Edberg. Cercare un raffronto nell’epoca moderna è compito arduo; ci si avvicina, forse, la coppia Sampras-Agassi per Roddick, che però la sua soddisfazione Slam è riuscita a raggiungerla, seppur con tutti i noti rimpianti. Nel nostro caso, invece, l’agognato torneo Major in bacheca è un terribile miraggio, pur sembrato varie volte facilmente alla portata.
Thomas Enqvist, personaggio noto nel mondo del tennis ancora oggi, è stato uno dei prodigi del circuito maschile ad aver ottenuto molti meno titoli di quelli che potenzialmente avrebbe potuto sistemare in bacheca. È sufficiente cercare dei video sul web per rendersi immediatamente conto della leggerezza e facilità di esecuzione dei suoi colpi, sempre molto lineari e puliti, forse troppo addirittura, circostanza che lo rendeva a tratti prevedibile. Dalla sua parte, tra l’altro, si è sempre schierata la sfortuna che gli ha causato notevoli problemi fisici sin da subito: a 21 anni era già stato operato ad entrambe le ginocchia ed un avvenimento del genere può definitivamente tranciare la carriera di una promessa. I problemi fisici sono poi continuati negli anni, inficiandone in parte il rendimento, ma da buon svedese non ha mai mollato, in nome di una fervida tradizione tennistica da portare avanti.
Con l’inevitabile alea di Borg sul groppone e la contemporaneità della presenza di Edberg nel circuito, Enqvist si è presentato alla ribalta come un potenziale crack dei suoi anni, capace di sconfiggere chiunque nei momenti di grazia. Le teste di serie incontrate e sconfitte negli anni sono state molte (su tutti, Kuerten, Rios e Agassi) e proprio questi risultati hanno inevitabilmente accresciuto l’hype nei suoi confronti. Sono però sufficienti i risultati ottenuti negli Slam ad offrire la sintesi di un talento tanto brillante quanto incompleto: quarto turno a Parigi e US Open, quarti a Wimbledon e finale in Australia. Il rimpianto maggiore è sicuramente l’ultimo, in quel 1999 che fu la sua annata di grazia ed in cui si spinse fino al quarto posto della classifica mondiale, suo best ranking. In vantaggio di un set contro Kafelninkov, condotto e vinto 6-4, l’interruttore si spense bruscamente per poi funzionare a fasi alterne; tra nervosismo ed errori infiniti, la sfida si chiuse in quattro parziali in quello che è stato l’ultimo grande acuto Slam della sua carriera. L’anno seguente si toglierà poi lo sfizio di battere a Basilea un giovanissimo Roger Federer per concludere infine la carriera nel 2006 con diciannove titoli all’attivo di cui tre “1000”. In mezzo, le due indimenticabili Davis del biennio 1996-1997 che gli sono valse altresì la guida tecnica del team svedese in Davis tra il 2010 ed il 2012.
È inevitabile, parlando di Enqvist, che un leggero rimpianto conduca l’intero discorso, anche oggi che è il giorno del suo quarantaseiesimo compleanno. La facilità con cui ha affrontato e sconfitto avversari come Agassi, mescolata al relativamente basso numero di titoli ATP ed a quello zero nella casella dei tornei dello Slam, offrono la panoramica completa di ciò che è stato il buon Thomas: forte, fortissimo, talento precoce ma infedele alla sua indole svedese nei momenti clou, dominato forse inconsciamente da quell’eredità troppo ingombrante anche per uno come lui.