Wta on Broadway, atto quarto: il sogno americano di Naomi Osaka

Dagli exploit di Aryna Sabalenka e di Kiki Bertens, al ritiro di Francesca Schiavone, fino alle lacrime di Naomi Osaka: il viaggio attraverso la stagione Wta 2018 continua sul cemento dello swing nordamericano.

 

Le spiagge della California, i grandi parchi naturali, la vita movimentata delle grandi metropoli e il tramonto sullo skyline di New York; sono solo alcuni degli spettacoli offerti agli spettatori in questo quarto atto targato stelle e strisce. Un’incalzante corsa da una costa all’altra degli States con un unico obiettivo: il sogno americano, che da secoli a questa parte spinge povere famiglie e intraprendenti investitori, perseguitati e criminali a lasciare tutto per un tuffo nel vuoto, una nuova vita. Per una tennista, la meta finale di questo viaggio altro non può essere che l‘Arthur Ashe Stadium, davanti a quasi 24 mila spettatori nella città che non dorme mai, New York.

Lo sanno bene anche i presenti in sala, velocissimi a tornare in postazione per non perdere l’inizio dell’atto più frenetico.

Ho sentito dire che ci sarà un colpo di scena incredibile in questo atto!”

Ma chi te lo ha detto?”

Un amico, che ha un amico il cui fratello lavora dietro le quinte, me lo ha assicurato, ha detto anche che…”

Una delle tante conversazioni che si sentono camminando tra i corridoi del teatro. Una signora sui quaranta, in lungo abito da sera cerca di convincere con poco successo l’amica sull’affidabilità della sua fonte. Sta ancora proseguendo il suo sproloquio quando il sipario si apre sulla Silicon Valley per il torneo Premier di San Jose, alla sua prima edizione. Un ottimo campo di partecipazione per inaugurare il nuovo appuntamento, con le sorelle Williams, Azarenka e Mertens. Con un nuovo completo rosso fuoco, Serena è la grande attesa di questa settimana dopo aver ritrovato ottime sensazioni a Londra, ma poche ore prima di scendere in campo contro Johanna Konta, scorrendo la home di Instagram scopre qualcosa di decisamente imprevisto.

Quindici anni dopo l’omicidio, l’uomo colpevole di aver tolto la vita alla sorella di Serena, Yetunde, lasciando orfani i suoi figli, è stato rilasciato per buona condotta. Uno shock per l’intera famiglia, Serena compresa, con quest’ultima che poche ore dopo subisce la peggior sconfitta della propria carriera, ma la testa è da tutt’altra parte. Ad aggiudicarsi il torneo è la rumena Mihaela Buzarnescu superando in finale Maria Sakkari, mentre tornano a farsi notare Azarenka e Collins, semifinaliste a Miami a marzo ma poi scomparse dai riflettori. Nel frattempo torna a gioire Svetlana Kuznetsova, che dopo mesi difficili tra infortuni e un ritorno complicato può nuovamente sollevare un trofeo, ma soprattutto conferma di poter ancora avere voce in capitolo nel circuito maggiore.

La 30enne Buzarnescu, ultima scoperta della avanzata rumena, vince il suo primo titolo a San Jose.
La 30enne Buzarnescu, ultima scoperta della avanzata rumena, vince il suo primo titolo a San Jose.

Rodati i motori, è tempo di tornare a giocare un grande torneo come quello di Montreal, il Premier 5 canadese. Torna a convincere Simona Halep, che dopo una grande rimonta contro Pavlyuchenkova concede poco nei seguenti match, facendosi strada fino alle fasi finali. Chi invece non convince è Caroline Wozniacki, che subisce la vendetta della giovane Sabalenka, che con un mix di coraggio e follia si prende la più importante vittoria di una carriera appena iniziata. Chi però più colpisce è Sloane Stephens, che non lascia nemmeno un set per strada, neanche alla regina dei Premier 5 Elina Svitolina. Ottimi segnali anche da Barty, che nonostante la sconfitta in semifinale con Halep gioca una settimana da top player quale può essere. Dunque, appena 2 mesi dopo la finale di Parigi, Halep e Stephens incrociano nuovamente le racchette in una finale e la lotta è ancora più strenua. A trionfare alla fine è sempre Simona Halep, prolungando il periodo più felice della sua carriera con un altro grande titolo e sembra non avere alcuna intenzione di fermarsi qui.

Non c’è tempo per rifiatare, il cambio di scenario è rapidissimo: Cincinnati, Ohio, dove Garbine Muguruza difende il titolo del 2017. Cambia il posto, ma non sembra cambiare troppo la trama: Wozniacki lotta un set prima di ritirarsi contro una scintillante Kiki Bertens, Barty continua a tessere trappole perfette per le avversarie e Simona Halep abbatte ogni scoglio. Tra le novità, Petra Kvitova raggiunge le semifinali, primo e unico risultato degno di nota di questa seconda parte di stagione, mentre una sempre più in fiducia Sabalenka batte Pliskova, Garcia e Keys per prendersi le prime semifinali in un Premier 5. Non bastano però gli sforzi di Kvitova e Sabalenka, sconfitte relativamente da Bertens e Halep, che si sfidano in una domenica assolata. La rumena vola, disegna il campo e si dirige verso il traguardo, forte di un set di vantaggio. Un secondo parziale più lottato e finito al tie-break in cui la numero 1 del mondo ha la possibilità di porre la parola fine a questo match. Ma Kiki Bertens non teme nulla e nessuno, continua a crederci e non molto dopo si trova tra le mani il trofeo più importante della propria carriera. Doppietta saltata per Halep, ma un’estate che si annuncia rovente per lei.

L’ultimo torneo in preparazione allo Slam è il Premier di New Haven, dove una straripante Sabalenka si aggiudica il primo titolo della sua carriera contro una fortunata Suarez Navarro. L’iberica ritrova il suo tennis ma l’approdo in finale arriva dopo tre ritiri consecutivi delle sue avversarie – Konta senza scendere in campo, Kvitova e Puig -. Sabalenka con questa vittoria si lancia sempre più verso i piani alti e si candida ad outsider d’eccellenza per New York.

C’è grande eccitazione tra il pubblico, uno stato di euforia generale in attesa dell’ultimo appuntamento Slam di quest’opera, quello più spettacolare ed incalzante. E come ampiamente prevedibile, le sorprese non tardano ad arrivare neanche questa volta. Esce dal campo a testa bassa Simona Halep, delusa da una prestazione opaca in cui non è mai riuscita a dire la sua. È così che Kaia Kanepi mette a segno la più importante vittoria della sua carriera a 33 anni, quando sembrava ormai aver dato il meglio di sé nelle stagioni passate. Ma Simona Halep non è la sola ad abbandonare anzitempo, con la numero 2 del mondo Wozniacki che cede il passo a Tsurenko e un paio di giorni dopo anche Kerber esce dal torneo per mano di Cibulkova. Chi non trema affatto è Serena Williams, che approda agli ottavi senza perdere più di 4 giochi a partita. Nella parte bassa non vuole essere da meno Naomi Osaka, che dopo tempi difficili sembra aver ritrovato la voglia di lottare e vincere. Lo aveva annunciato qualche settimana prima in una lettera ai fans, dopo la sconfitta a Cincinnati. Dopo Indian Wells tanta pressione e aspettative, tante difficoltà ad esprimere il proprio tennis serenamente, ma le cose stavano cambiando e a New York sta decisamente dando prova di ciò. Agli ottavi Serena soffre contro Kanepi, Osaka con Sabalenka, Suarez elimina Sharapova e Sevastova si impone su Svitolina. Tante americane nelle fasi finali, con Williams e Keys che arrivano tra le ultime 4 mentre Stephens esce dopo una prestazione horror per mano di Sevastova. Semifinali senza storia, che regalano al pubblico una finale che sa tanto di ricambio generazionale, ora più che a marzo. Si, perché gli spettatori ricordano bene quel match a Miami, dominato dalla 20enne nipponica, ma questa Serena è di un’altra pasta e allo stesso tempo Osaka ha dimostrando a tutti che Indian Wells non fu una questione di fortuna o casualità. In un gremito Arthur Ashe Stadium prende vita una delle finali che più rimarranno negli annali, ma non (solo) per il tennis espresso. Ma prima della finale, arriva l’annuncio ufficiale di Francesca Schiavone, che dopo una carriera straordinaria, con uno Slam, una finale Slam e la quarta posizione mondiale, decide di appendere la racchetta al chiodo e di cominciare ad allenare. Dopo Roberta Vinci dunque un’altra colonna di questo ultimo decennio lascia il tennis, lasciando solo Sara Errani nel tour, con la romagnola che dovrebbe rientrare a febbraio 2019. Ma torniamo sul centrale di Flushing Meadows per il dessert di queste due settimane.

Rapidità, potenza, fluidità e imperturbabilità: Naomi Osaka è una macchina da guerra con percentuali al servizio devastanti e un cinismo da veterana. Eppure la veterana in campo non è lei, ma quella con cui incrocia lo sguardo prima di servire, con un misto di timore e determinazione. Vincente dopo vincente, il primo set è suo per 6-2. Quello che accade da lì a pochi minuti non ha precedenti e ci auguriamo tutti si ripeta mai più in una finale Slam.

Dalla tribuna Mouratoglou cerca di suggerire qualcosa a Serena, la telecamera lo inquadra e anche l’arbitro Ramos lo coglie in fallo, dando un penalty point a Serena, che di guardare il proprio angolo proprio non ne aveva voglia. Difficile accettarlo per l’americana, che si avvicina a Ramos dicendo: Non ho mai imbrogliato, preferisco perdere che vincere imbrogliando, cosa che chiunque conosca Serena sa bene essere vera. Solo pochi minuti dopo c’è un secondo warning per racket violation, che comporta un penalty point nel game successivo. Sul cambio campo sul 4/3 Osaka e servizio arriva il terzo warning, per verbal abuse, e il penalty game, un’applicazione strettissima del regolamento da parte di Ramos. Forse, troppo stretta per essere una finale Slam. Si scatena il panico. Supervisor in campo, Serena in lacrime, gli spalti in piedi a fischiare, i telecronisti sorpresi quanto gli spettatori a teatro. Ma nella testa di Naomi Osaka non c’è niente di tutto questo. Per lei, tutto è immobile, c’è silenzio. Vede le persone in piedi, dall’altra parte della rete la sua idola discute di qualcosa, ma non importa. Pensa solo al prossimo punto Naomi, pensa a dove rispondere al prossimo servizio, ripassa tutti i discorsi fatti con Sascha Bajin prima dell’incontro. Un punto alla volta, il tempo sembra andare lentissimo, ogni passo pesa come un macigno, percepisce solo due rumori: il battito del corpo e quello della palla sulla racchetta, in perfetta sintonia. In lontananza sente una voce: “game, set and match Osaka”, il boato del pubblico; Naomi torna nel mondo reale, vede il sorriso di Sascha nel suo angolo, la folla in piedi. Lacrime di gioia e lacrime di imbarazzo alla premiazione, che viene accompagnata dalla disapprovazione del pubblico per il finale rocambolesco e dalla dolcezza di Serena, che la consola e le dà la sua benedizione, forse per l’ultima volta o forse no. Chissà cosa penserà stanotte Naomi, chissà se sognerà di rivivere quei momenti, o se avrà incubi, o se magari non riuscirà proprio a chiudere occhio. La prima vincitrice Slam giapponese della storia oggi ha infranto i sogni di Serena e di tutti gli americani, ma presto capirà che allo stesso tempo ha conquistato il cuore di tutti, Serena compresa.

US Open: Naomi Osaka, 20 anni, alza la coppa del suo primo Slam.
US Open: Naomi Osaka, 20 anni, alza la coppa del suo primo Slam.

Quando le luci si riaccendono nessuno si muove, gli spettatori sono come pietrificati. D’altronde, chi se lo aspettava un finale così? Nel silenzio si sente una donna sussurrare.

Visto? Te lo avevo detto!”

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