La storia di Marcelo Rios: tutto o niente

La storia di Marcelo Rios, talentuoso quanto imprevedibile tennista cileno che sicuramente avrebbe meritato di vincere di più anche se la testa e il fisico di cristallo lo fermarono sul più bello. Numero 1 senza Slam.

Dovete sapere che il tennis è diventato per me una vera e propria malattia, capace di intaccare il mio cervello dalla mattina sino a notte inoltrata. Quando Marcelo Rios annunciava prematuramente di appendere la racchetta al chiodo nel 2004, io avevo nove anni e nessuna conoscenza tennistica. Oggi che ci penso, posso soltanto mangiarmi le mani. I miei occhi non hanno potuto godere di uno spettacolo sensazionale. Così compulsivamente ho iniziato a guardare video su video, la maggior parte dei quali commentati da Patricio Cornejo. Si proprio quello lì di Santiago 1976, l’unico successo Davis dell’Italia. Beh a Pato l’italiano è rimasto talmente impresso che per la tv cilena ad ogni punto di Rios non fa altro che esclamare “ Grande giocatore!”. Io cliccando replay più e più volte ho cercato di comprendere le dinamiche di alcune prodezze che mi sembravano più che disumane. Tocchi di sensibilità pazzesca, angoli impensabili, lob tirati due metri dietro la linea di fondo calibrati perfettamente negli ultimi centimetri buoni di campo. Signori, l’unica spiegazione possibile è una sola: TALENTO PURO. Fin qui sono stato molto generico ed anche dispersivo, ma lasciate che ora vi racconti la storia di Marcelo Rios, El Chino, il re dalla corona senza gemme.

Il piccolo Marcelo non è stato uno di quelli cresciuti a biberon&racchette. Anzi fino agli undici anni Rios non sapeva neanche cosa fosse una racchetta. Si dedicava al calcio e si dice anche con discreto successo. Ma la scoperta del tennis fu per lui una manna dal cielo. Si impossessò della sua mente. Aveva trovato la sua strada. Marcelo ora aveva un solo obiettivo: diventare il numero uno. E in un batter d’occhio quel ragazzino dai tratti orientali ed i capelli lunghi era in cima alle classifiche juniores. Subito con quella sprezzante e non celata superbia El Chino si sentì pronto per andare a confrontarsi con i Grandi. Negli anni d’oro di Sampras, Agassi, Chang e chi più ne ha ne metta, Rios si sentì pronto a sfidarli. Armato soltanto di una racchetta e un ego smisurato.

Nel 1994 passa tra i professionisti, e nel giro di tre anni è già tra i top-10 ed ha in bacheca quattro tornei. La scalata verso il numero uno ha inizio. In un circus allora frequentato già da ribattitori sensazionali ed i soliti fondocampisti alla spagnola ma anche dai (sempre più pochi) nostalgici serve&volley, il gioco di Marcelo era totalmente unorthodox. Mancino, colpiva il dritto con una naturalezza disarmante. Giocava il rovescio, bimane, al salto, con un gesto che ancora oggi fa scuola. I suoi drop erano tanto micidiali quanto inaspettati per gli avversari. A rete era un gatto, agilissimo. Dire che la sensibilità di Rios era fantastica forse è anche poco. Con questo bagaglio tecnico così grande e variegato, la sua salita verso la gloria non potè che essere facilitata. Rios divenne numero uno al mondo nel 1998, dopo aver vinto l’accoppiata Miami-Indian Wells. Era il 30 marzo. Ce l’aveva fatta, era diventato il primo latinoamericano a guardare tutti dall’alto nelle classifiche mondiali. Lo sarà per 6 settimane in totale.

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Ecco aveva ottenuto la corona, ma le gemme?? Stiamo parlando degli Slam. Rios non ne conquisterà mai uno in carriera. Sampras, che si riprese la sua amata posizione numero uno, ebbe a dire: “Come puoi essere il numero 1 senza nemmeno aver vinto uno Slam?”. Forse in tutta la carriera Marcelo non ci andò neanche mai vicino a vincerne uno, avendo giocato una sola finale agli AO nel 1998. E in quella partita non ci furono storie. Perse 6-2, 6-2, 6-2 da Petr Korda. Ecco volete sapete perché Rios non vinse mai uno Slam? Semplice. Non amava allenarsi, lavorare sodo, non gli importava fare una giusta preparazione atletica. A lui piaceva andare in campo e fare quel che la testa gli diceva di fare. Non importa in quale momento, un punto valeva l’altro. Dunque considerando anche la sfortuna per i tanti infortuni, si può tranquillamente dire che oltre al fisico anche la sua testa era di cristallo.

Il talento lo aveva baciato e l’importante era assecondare il suo innato genio tennistico.  Con il risultato di non essere in grado di sapere gestire il fattore mentale che tanto conta in uno sport inventato dal diavolo come il tennis.
Se a Rios in campo dunque non serviva un allenatore ma uno psicologo, fuori era anche peggio. Dannatamente antipatico ed odiato da tutti. Marcelo sembrava quasi trarre linfa da ciò. Ilie Năstase fu in assoluto il più critico: “Come era il suo gioco? Non me ne frega un cazzo. Non lo vado nemmeno a vedere. Per me è un idiota. Non so cosa altro dire di lui e guardate che è la prima volta che io parlo cosí di qualcuno. È stato quanto di peggio potesse capitare per il tennis e non meritava di essere Nº1 nemmeno uno o due giorni”. Tanto geniale in campo quanto scontroso e irascibile fuori. C’era il Rios che odiava i bambini, non firmava autografi e che quasi spaccava a metà una matita per la rabbia davanti ad uno di loro. C’era il Rios che disse a Monica Seles “Muovi quel culo grasso!”. C’era il Rios di “ l’erba di Wimbledon va bene per le mucche ed il calcio, non per il tennis”.

Senza dimenticare Rios che colpisce con un cazzotto un tassista a Roma e che nell’impeto tenta di aggredire anche la polizia sopraggiunta sul posto. Senza contare le tre mogli, un matrimonio lampo definito “l’errore più grande della mia vita”, il povero preparatore investito con la sua jeep, multe ed espulsioni da locali vari. Insomma chi più ne ha più ne metta. Se ne potrebbero citare ancora una miriade, ma mi fermo qui.

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Marcelo Rios dal basso dei miei vent’anni è una figura che mi sarebbe piaciuto vedere dal vivo. Vedendolo giocare probabilmente lo avrei odiato a morte. Oppure amato alla follia. Tutto o niente. E non per fare il tipo alternativo fuori dagli schemi. Sogno un giorno di poterci scambiare due chiacchiere. Sentendolo parlare oggi dice che il tennis non fa più parte della sua vita, non porta più i capelli legati in una lunga coda di cavallo come ai tempi ruggenti ed ha un’insana passione per i tatuaggi, tant’è che ne ha uno mostruosamente enorme su tutto il petto.

Forse mi sbaglio, ma Marcelo continua ad essere quell’asociale ( così si definisce egli stesso, ndr) folle ed antipatico che il tennis ha avuto la (s)fortuna di ospitare per dieci brevi ma intensi anni.
Sono le ore 1:35 e per un’intera giornata non ho avuto che un pensiero in testa : RIOS. E non posso che concludere ricordando il suo viso strafottentemente sornione, dopo una voléé fantasmagorica, rivolgersi all’arbitro esclamando :” ”That’s one of the best touch have you seen in your career?”
GRAZIE MARCELO

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