L’uragano Don Budge

Se il 21 settembre 1938 un uragano devasta New York, tre giorni dopo Donald Budge realizza il Grande Slam. Rosso di capelli, un fisico asciutto, poteva contare sul rovescio più bello del mondo, reso ancora più efficace dalla proverbiale freddezza con cui era solito affrontare i momenti “hot” del match.

Correva l’anno 1938 quando sul tramonto di un mite 19 settembre un’imbarcazione che viaggiava a nord-ovest di Portorico segnalò all’ufficio metereologico di Jacksonville, in Florida, la formazione di un uragano sull’Atlantico. In quei giorni a New York un ventitreenne californiano di origini scozzesi, tale Donald Budge, stava inseguendo un sogno: realizzare il Grande Slam. L’improvvisa deviazione da parte dell’uragano provocò un sospiro di sollievo negli abitanti di Miami, ma la tempesta non prese la via prevista dai metereologi, ossia verso est in pieno Oceano, ed il 21 settembre si abbatté su Long Island con onde alte fino a 12 metri, rese ancora più micidiali dal vento capace di toccare i 200 km/h. In realtà su New York pioveva già da quattro giorni che sommati alla catastrofe provocarono la sospensione degli U.S National International fino al 23 settembre. Solo allora Donald Budge poté tornare a calcare i campi di una desolata Forest Hills per sconfiggere in semifinale con un triplo 6-3 il connazionale Sidney Wood. Il giorno dopo si sarebbe arreso anche il suo migliore amico, quel Gene Malko che quando vide sfilare l’ultimo 15 corse incontro al fenomeno che lo aveva battuto con il punteggio di 6-3 6-8 6-2 6-1. «Era l’unico al mondo che comprendeva veramente cosa avevo appena fatto»; avrebbe raccontato in seguito Donald Budge, il primo uomo capace di vincere nello stesso anno Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open. Perché sì, un uragano lo era pure Donald Budge.

La leggenda di Donald Budge prende forma diversi anni prima della sua stessa nascita quando il padre John, un calciatore professionista militante nei Glasgow Rangers, subisce un infortunio che lo costringe ad abbandonare la carriera professionistica per di lì a poco accusare problemi respiratori che lo inducono a dire addio all’amata Scozia per emigrare negli Stati Uniti. Donald nasce così ad Oakland, nella contea di Alameda, il 13 giugno del 1915. Per guadagnarsi da vivere la famiglia gestisce una lavanderia, ma l’obiettivo di Don non è quello di prendere le redini dell’attività bensì di emulare le gesta calcistiche del padre, seppure da ragazzino si distingueva principalmente nel baseball e nel basket; discipline che avrebbero contribuito a farne un atleta resistente. Il tennis era l’ultimo dei suoi pensieri finché nel giugno del 1930 il fratello maggiore Lloyd lo convince a prendere in mano una racchetta e ad allenarsi una decina di giorni in modo da poter partecipare al campionato juniores della California. Per rendere l’idea del talento di cui era provvisto basta pensare che da lì a cinque anni avrebbe raggiunto la semifinale a Wimbledon e nel 1936 disputato la finale dell’U.S Open per poi difendere i colori degli Stati Uniti in Coppa Davis.

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E sarà proprio un incontro tra nazioni a scrivere uno dei capitoli più entusiasmanti dell’epopea di Donald Budge. Era il 1937 ed il secondo conflitto mondiale venne anticipato di poco da una splendida quanto terribile disputa di Coppa Davis tra Stati Uniti e Germania. Come in tutte i duelli epici che si rispettano a contendersi il punto decisivo furono due antitesi: da una parte Donald Budge, rosso di capelli e fisico asciutto, un “proletario” della racchetta con il rovescio più bello del mondo, reso ancora più efficace dalla proverbiale freddezza con cui era solito affrontare i momentihot” del match; dall’altra l’ariano Goffried von Cramm, biondo con gli occhi azzurri, il portamento fiero a rimarcare le discendenze aristocratiche, un tennis elegante insidiato dalle fragilità emotive che mai lo avrebbero reso un vincente in piena regola ed armonia con gli ideali nazisti. Si narra addirittura che prima del fatidico match il sensibile von Cramm avrebbe persino ricevuto una telefonata di Adolf Hitler, di certo Bill Tilden, ironia della sorte allenatore del tedesco e non del proprio connazionale, la definì: «La partita più bella della storia del tennis». Il punteggio sembrava sorridere al raffinato von Cramm, prima in vantaggio di due set a zero, poi addirittura involtato sul 4-1 nel quinto set. Ma ad un cambio campo Donald Budge intima al suo capitano, Walter Pate, di «Non considerarmi ancora sconfitto». E da lì prende forma la rimonta a suon di servizi vincenti e rovesci devastanti finché sul 7 a 6 Budge colpisce un diritto che spinge fuori dal campo Goffried, che scivola a terra. Una caduta che anticipa tante rovine che da lì agli anni venturi avrebbero afflitto il tedesco che finirà persino in prigione per il crimine di omosessualità e di cui Donald prenderà le difese inviando una lettera di protesta ad Hitler. Un punto che sommato ai successi registrati nello stesso anno a Wimbledon ed all’U.S Open avrebbe aperto a Budge i cancelli della storia.

Probabilmente Don Budge avrebbe primeggiato in qualsiasi disciplina avesse deciso di fare sul serio. Il tennis, essendo uno sport individuale in cui il fattore mentale assume un valore prioritario, si è sposato in pieno con l’indole tenace e analitica di quel ragazzo che versatile si è dimostrato anche nello stesso nobil gioco dato che oltre ai sei titoli del Grande Slam in singolare, ha riposto in bacheca anche due Wimbledon e due U.S Open tanto nella specialità di doppio maschile quanto nel misto. Il Grande Slam avrebbe consegnato Don al professionismo dove a consacrarlo ulteriormente nella stagione 1939 sarebbero state le 22 vittorie a 17 infligge a Ellsworth Vines e le 28 a 8 con cui ha regolato Fred Perry. Se nel 1940 conquista quattro dei sette tornei a cui partecipa tra cui l’U.S Pro Tennis Championships, nel 1941 annichilisce l’ormai quarantottenne Bill Tilden per 46 match a 7. Altrettanto entusiasmanti si rivelano negli anni a venire i duelli intrapresi con Bobby Riggs. Quello delle ultime stagioni però, non era più “il vero Budge” in quanto, arruolatosi nell’esercito statunitense nel 1942, l’anno dopo cade durante una corsa ad ostacoli strappandosi un muscolo della spalla. Quello che pareva un banale infortunio avrebbe finito con il rivelarsi qualcosa di cronico.

Anche dopo il ritiro, seppur vestendo i panni di uomo d’affari, Donald non mise mai da parte il tennis in quanto diede vita a quella che si potrebbe considerare una sorta di ancestrale “Accademia per bambini”. La nascita dell’era Open lo sollecitò a tornare in campo tra i veterani e nel 1973, a cinquantotto anni, insieme a Frank Sedgman si impose a Wimbledon. La vita di Budge è proseguita tra una celebrazione e l’altra fino al dicembre del 1999, quando è stato vittima di un incidente automobilistico che il 26 gennaio del 2000, nel silenzio di una casa di cura di Scranton, ha definitivamente spento l’uragano Budge.

24 Sep 1938, Queens, New York City, New York State, USA --- Original caption: Carrot-topped Donald Budge, of California, holding the cup, symbolic of the Men's National Singles Tennis Championship, after he had defeated Gene Mako, his best friend and doubles partner, 6-3, 6-8, 6-2, 6-1, in their finals match today. Don's victory gave him a clean sweep of the major titles in international competition - the French, the English, the Australian, and the American championships. --- Image by © Bettmann/CORBIS
24 Sep 1938, Queens, New York City, New York State, USA — Original caption: Carrot-topped Donald Budge, of California, holding the cup, symbolic of the Men’s National Singles Tennis Championship, after he had defeated Gene Mako, his best friend and doubles partner, 6-3, 6-8, 6-2, 6-1, in their finals match today. Don’s victory gave him a clean sweep of the major titles in international competition – the French, the English, the Australian, and the American championships. — Image by © Bettmann/CORBIS
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