Martin Klizan: elogio della follia

Martin Klizan a Flushing Meadows ha raccolto quattro giochi in tre set con Youzhny, a Metz si è fermato a tre (in due set) contro Benneteau. Il ritratto del tennista slovacco, uno dei giocatori moderni che si discostano da quella figura della macchina programmata per vincere, regalando in ogni match emozioni a tifosi ed appassionati

L’ANOMALIA NEL TENNIS MODERNO – L’equilibrio tranquillizza, ma la pazzia è molto più interessante (Bertrand Russell). L’attuale dominatore del circuito ATP, tale Novak Djokovic, è uno dei tennisti più “equilibrati” della storia sia per quanto riguarda il notevole bagaglio tecnico (diritto e rovescio perfettamente forgiati per il power tennis contemporaneo) sia per la grande tenuta mentale ed atletica: il prototipo ideale del tennista degli anni zero. “Nole” è un cyborg che non commette errori gratuiti, una fredda (con la concessione di qualche numero di cabaret per intrattenere il pubblico o il feticistico lusso della palla corta) macchina le cui partite concedono poco all’improvvisazione e all’estro. In questo scenario normalizzato e desolante, in cui le nuove leve somigliano spaventosamente a robot programmati per vincere (A. Zverev, Coric, Fritz: tutto uguale, tutto uguale cantavano i Nerorgasmo), la sana follia di Martin Klizan è acqua fresca per gli assetati, uno spiraglio di luce nel buio: il dritto come una sentenza di morte, il servizio e il rovescio sgraziati e fallosi ma talvolta devastanti, la grande sensibilità per la palla corta e i comportamenti non sempre ortodossi.

GLI INIZI, LA CARRIERA JUNIORES, LA GAVETTA – Nato a Bratislava nel 1989, Martin è un talento precoce: a 3 anni impugna già la prima racchetta, nel 2005 è campione europeo under16 in singolare e in doppio insieme al connazionale Andrej Martin, nel 2006 vince il Roland Garros juniores e diventa numero 1 della classifica riservata ai giovani tennisti. Martin, col suo esplosivo dritto mancino, sembra pronto per il salto di categoria e tenta il confronto con i “grandi” partendo dai tornei minori: nel 2007 gioca quasi settanta partite fra futures (molti) e challenger (pochi), superando anche un turno all’ATP di Washington contro il greco Economidis prima di arrendersi davanti alla fisicità di Monfils. La concorrenza è però spietata, ai livelli più bassi del tennis professionistico si lotta per la sopravvivenza e Martin deve attendere l’autunno del 2010 per qualificarsi in un torneo dello Slam (US Open, sorteggio sfortunato e appena quattro game raccattati contro “Mosquito” Ferrero) e vincere il primo challenger, nella nativa Bratislava.

UNA SCHEGGIA IMPAZZITA NEL CIRCUITO MAGGIORE – Negli anni successivi, Klizan raggiunge il prioritario obiettivo di un professionista (l’ingresso nei primi 100) e la sua attività resta incentrata sul circuito challenger. Sulla terra è un avversario ostico per tutti: vince a Rabat, Marrakech, Bordeaux e San Marino. Vittorie e piazzamenti gli permettono un notevole balzo in classifica (ad agosto 2012 è numero 48) e l’accesso diretto ai tabelloni principali dei tornei dello Slam. Proprio in uno Slam, a Flushing Meadows, arriva l’exploit di un tennista la cui esperienza ATP era assai limitata: al primo turno demolisce Falla, al secondo non ha nessun riguardo nei confronti del top10 Tsonga e al terzo regola anche Chardy, prima che Cilic gli sbarri definitivamente la strada. Sull’onda dell’entusiasmo arriva la prima affermazione in un torneo ATP: a S. Pietroburgo batte un altro pazzoide, Fognini, in finale e il computer lo proietta fra i primi 30 tennisti al mondo. Il suo spirito iconoclasta emerge anche fuori dal campo, con critiche ai compagni di Coppa Davis e al capitano Mecir e dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti di Nadal.

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LA CADUTA E LA NUOVA SCALATA – La carriera di Klizan è rappresentabile, fin qui, da una parabola di cui non si conosce ancora il vertice, che si può ipotizzare vicino alle più alte posizioni della classifica. Il 2013, però, si apre con la disastrosa trasferta in Oceania (tre eliminazioni al primo turno) e la situazione non migliora nemmeno con l’approdo sull’amata terra rossa: una semifinale a Casablanca non basta per bilanciare una serie di sconfitte nei primi turni. Al Roland Garros illude strappando il primo set al cannibale della terra rossa, Rafael Nadal, ma perde in quattro set. La stagione continua con altre sconfitte, non sorprendono quelle sull’erba (superficie che mal si adatta al tennis del nostro) mentre i due giochi vinti in tre set con Donald Young suonano come un preoccupante campanello d’allarme: Klizko chiude l’anno fuori dai primi 100. Le due successive stagioni segnano, fra alti e bassi, il ritorno di Klizan ai piani alti del ranking: il terzo turno a Melbourne (battendo Isner), la sorprendente vittoria a Monaco (partendo dalle qualificazioni e superando Youzhny, Haas e ancora Fognini in finale), la semifinale a Pechino (vendicando l’eliminazione a Parigi contro Nadal) e la conquista dell’ATP 250 di Casablanca.

L’ANNO DI GRAZIA – Martin inizia il 2016 da numero 43 al mondo ma, anche questa volta, non brilla nei tornei di gennaio, perdendo sempre al primo turno (contro Edmund, Thompson e Bautista-Agut). Dopo un buon torneo a Sofia, dove si arrende solo in semifinale, contro il muro Troicki, si iscrive a Rotterdam, un torneo 500 orfano di top ten. Nei primi due turni regola, senza troppa fatica, il veterano Robredo e Baghdatis. Nei quarti si trova nuovamente di fronte il regolarista Bautista-Agut: Klizan va sotto di set e break, concede sette match point e li annulla con soluzioni improbabili ma geniali (con una mano che po esse fero e po esse piuma), porta la partita al terzo set e la chiude con un rotondo 6-0. In semifinale si assiste ad un’altra eroica rimonta, forse la partita che più di tutte riassume gli abissi e la grandiosità del tennista di Bratislava: Mahut è avanti 7-6 5-3 e ha concesso appena due palle break, Klizan lancia nervosamente la racchetta e sembra destinato alla sconfitta quando, invece, annulla un match point col servizio e piazza il controbreak festeggiando con una capriola fra lo stupore e la gioia del pubblico. Anche in questa occasione martella ossessivamente col dritto (colpendo anche Mahut a gioco fermo) e vince al terzo set. Fra Klizan e l’importante trofeo c’è un solidissimo Monfils, i cui errori gratuiti nel primo set della finale si contano sulle dita di una mano, ma lo slovacco non demorde, anzi esprime il miglior tennis della carriera: alterna dritti a 180 km/h a chirurgiche palle corte col dritto e stretti rovesci in cross che mandano in tilt il francese, arriva così la prima vittoria in un 500. Purtroppo un infortunio al polso lo costringe a saltare i tornei su terra (al Roland Garros, dopo essere stato avanti di due set e un break contro il faticatore Daniel Taro, si ritira al quinto set) e la stagione su erba. Si rivede in forma all’ATP500 di Amburgo, torneo in cui perde un set al primo turno prima di piallare tutti gli altri avversari, incluso Pablo Cuevas in finale – dove risulta infallibile: cinque vittorie su cinque – a suon di micidiali accelerazioni.

UN FUTURO INCERTO E IMPREVEDIBILE –  Difficile prevedere dove possa arrivare Klizan, tornato vicino al suo best ranking di numero 24. Il ventisettenne di Bratislava ha dimostrato di poter competere con i più forti nella giornata giusta, eccetto sull’erba che probabilmente gli resterà sempre indigesta, ma anche di poter perdere con avversari non irresistibili (l’ultimo: quell’Andrej Martin, ora di poco fuori dalla top100, con cui giocava il doppio da ragazzino). L’unica certezza, comunque, è che questo longilineo picchiatore che lotta, urla, si agita e si lascia andare a pittoresche esultanze non sarà mai un’emozione da poco. E tanto ci basta.

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