Roland Garros, 5 giugno 1989: il giorno in cui Michael Chang fece impazzire Lendl

Un ottavo di finale destinato a rimanere imperituro nella storia del tennis: la sfida tra Ivan Lendl e un 17enne statunitense, di origini cinesi: il formidabile Michael Chang.

Il 1989 ha rappresentato uno spartiacque epocale per la storia contemporanea. Con la caduta del famigerato muro di Berlino la Germania, e di conseguenza l’intero continente europeo, potè riscattarsi, dopo un trentennio di vessazioni e privazioni nei confronti di chi, suo malgrado, risiedeva nella parte meno ospitale della cortina di ferro. Questo sommario pippone introduttivo serve a richiamare quella specifica ed irripetibile annata in cui, oltre all’abbattimento del divisorio germanico, si verificò un’altra agognata demolizione: quella di tutte le convenzioni tennistiche fino ad allora conosciute.
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L’artefice di questo prodigio copernicano ha un nome ed un cognome: Michael Chang. Prima di addentrarci in questa indelebile pagina del gioco è bene apparecchiare il contesto storico in cui sono avvenuti i fatti. Come già ampiamente ribadito ci troviamo nel 1989, alla vigilia di un’edizione del Roland Garros in cui tutto sembra già prestabilito, fin dal sorteggio dei tabelloni. Il favorito è obbligatoriamente Ivan Lendl, numero 1 del mondo e già vincitore di tre edizioni dello Slam parigino.

I suoi contendenti più autorevoli sono Stefan Edberg e Boris Becker; concorrenza tutt’altro che spietata, alla luce della palese idiosincrasia dei due rivali nei confronti della terra rossa. I primi turni per l’algido Lendl sono poco più di un allenamento agonistico, talmente agevoli da consentirgli di raggiungere gli ottavi di finale senza perdere un solo set. Ad attenderlo al quarto turno un avversario che non può non accrescere la consapevolezza che il finale di questa mesta edizione sia già stato depositato agli atti. Al cospetto del numero 1 infatti si presenta il gracile minorenne Michal Chang, statunitense di origini taiwanesi.
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Il minuto imberbe fino ad allora non aveva destato alcun colpo di fulmine negli occhi degli appassionati, proponendo un gioco scarno ed essenziale, incentrato sull’irrefrenabile moto perpetuo, oltre che sulla buona propensione nel gioco d’anticipo. Fu lo stesso Lendl a catechizzare in tal senso Il malcapitato Chang, a seguito del loro unico scontro diretto. Dopo un match di esibizione disputatosi negli Stati Uniti Ivan, con la tracotanza che lo ha sempre contraddistinto, spiegò a Chang che il suo gioco non avrebbe mai potuto impensierirlo, sottolineando l’assenza di un colpo definitivo e l’inconsistenza del servizio.

Mai parole furono meglio spese: a poco più di un anno di distanza da quell’episodio il campo conferma sillaba per sillaba le trancianti sentenze del vate cecoslovacco. I primi due set scivolano come un cucchiano di creme caramel nell’esofago. Un doppio 6-4 che certifica l’abisso tecnico-agonistico che separa il volenteroso teen-ager dal compassato campione. Forte di questo indiscutibile predominio il cecoslovacco si concede più di una distrazione nel terzo parziale, consentendo a Chang di ottenere quello che, agli occhi di tutti, sembra essere il simbolico set della bandiera.

Tale convinzione viene irrobustita poco più tardi, quando Chang manifesta una serie di acciacchi fisici talmente persistenti da metterne in dubbio la permanenza sul campo. Ed è esattamente a questo punto che si chiudono la trita cronaca e la banale contesa tennistica, lasciando il posto ad una concatenazione di eventi che eterneranno questa partita nei secoli dei secoli. Il demoniaco Chang, non potendo più contare sulla propria arma principale decide di stravolgere ogni tipo di convenzione tennistica, cominciando a giocare in modo eretico, anarchico, bislacco e, a tratti, ai limiti del plausibile. In principio decide di sfoderare una serie di pallonetti improbabili, atti a spezzare il ritmo imposto da Lendl, traiettorie talmente arcuate da suscitare l’incredulità dei presenti.

A rimpolpare questo repertorio degenerativo pure il servizio, suo tallone d’achille anche nei momenti di massimo fulgore. Chang fa sua una massima dello scrittore americano Stephen Chbosky :” se non sei in grado di raggiungere l’eccellenza amplifica i tuoi difetti, costringerai gli altri a seguire la tua strada.” Ed è così che decide di retrocedere il proprio difetto tennistico principale all’ultimo gradino della scala evolutiva, cominciando a servire da sotto, come il peggiore dei principianti alla prima lezione di tennis.

Il pubblico è combattuto, non sa se indignarsi o lasciarsi trascinare da questa deriva mistica. Di certo il suo oppositore non la prende benissimo, talmente abituato a rigidi schemi in cui può dispensare tutto il proprio raziocinio, ora deve venire a capo di una burla sempre più sfibrante. Il servizio da sotto infatti costringe Lendl a presentarsi a rete sistematicamente, permettendo a Chang di giocare passanti a ripetizione, acuendo l’insofferenza del vilipeso campione. Il quarto set termina 6-3 a favore di Chang, grazie a questa gamma di illogiche stravaganze.
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Il set decisivo diventa la definitiva dimensione del teatro dell’assurdo. Lo statunitense esaspera tutto ciò che ha messo in atto nel parziale precedente, aggiungendo una serie di espedienti psicologici volti a far deragliare il sempre più traballante binario mentale di Lendl. Non potendo usufruire del medical time out Chang abusa della pausa fisiologica, allungandola ben oltre il limite consentito, lasciando il cecoslovacco da solo sul campo a rosolare a fuoco lento. Una volta ripreso il gioco il canovaccio non cambia: Michael, ormai idolatrato dal pubblico del Philppe Chatrier, sciorina colpi sempre più bislacchi e grotteschi, mentre Ivan rinuncia a tutta la compostezza residua, dando in escandescenza a più riprese.

Come se tutto ciò non bastasse Chang si inventa un’altra trovata, destinata anch’essa a segnare la storia di questo sport. Durante ogni pausa di campo l’americano sbuccia avidamente una banana dopo l’altra, frutto fino ad allora mai comparso nel corso della partita. L’introduzione di questo elemento regalò l’illusione a molti dilettanti di poter migliorare sensibilmente le proprie prestazioni grazie al consumo smodato di interi cesti di banane, generando nella realtà solamente una schiera di potenziali diabetici.

La partita si chiude con un punto che sintetizza nel miglior modo possibile la natura di questo leggendario incontro. Sul 5-3 a favore di Chang il cecoslovacco serve per allungare il match. In men che non si dica ci si ritrova sul 15-40, doppio match point a favore dell’infante terribile. Proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe una legittima esitazione da parte di Chang, sempre più vicino ad una delle più clamorose imprese di quella decade tennistica, il folle mattatore della partita trova ancora un modo di mozzare il fiato alla platea.

Sulla seconda di servizio di Lendl Michael decide di giocarsi il punto a pochi cm dal rettangolo del servizio, scatenando l’ira di Ivan, il quale si rivolge all’arbitro chiedendo di far rispettare il regolamento. Il regolamento però non impedisce di rispondere da quella posizione del campo, solo la logica lo vieta categoricamente, ma come già ampiamente dimostrato la logica in questa partita è stata bandita. Ormai logoro Lendl non controlla il servizio, la palla colpisce il nastro prima di sdraiarsi esausta sul corridoio, aggiungendo l’ultimo punto esclamativo ad una delle più mirabolanti utopie mai messe in scena su un campo da tennis.
ROLAND GARROS- Ottavi di finale M.Chang- I.Lendl- 4-6 4-6 6-3 6-3 6-3

Di G.Micottis

0 comments
  1. Chang vergognoso e molti giustamente lo fischiarono. Lendl non era certo simpatico ma le cose che fece Chang, seppure facessero parte di una strategia che si riveló vincente, rimangono un’offesa al tennis.

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