Partirono da Mar del Plata… – Il Weekend italiano di Davis Cup.

Non si tratta di guastare feste o di uscire dal seminato, ma semplicemente di prendere meriti e demeriti, come si fa quasi dappertutto, e metterli sulla bilancia; non per criticare aspramente o per usare termini epici quando non se ne vede il bisogno, ma semplicemente per crescere e far crescere.

Un weekend da eroi. Perfetti. Italia avanti col cuore.

Come è giusto che sia, lasciamo alla stampa italiana la libertà di sfornare titoloni da prima pagina, così da poterci concentrare sull’effettiva analisi di ciò che è successo a Mar del Plata in questi tre giorni di Davis.

Se si stesse a guardare la cosiddetta “carta”, i nostri avrebbero dovuto chiudere tranquillamente tre a zero, ma non ci mettiamo tra quello che dovrebbe essere costante e ciò che può scaturire da una competizione a squadre che è stata di Nalbandian e della sua Argentina: tutto ciò perché il cuore, spesso, in coppa Davis va ben oltre l’ostacolo, e tutti noi lo sappiamo bene.

Senza il “pezzo grosso” Del Potro, che se ne è rimasto buono buono a Tandil, la palla è rapidamente passata in mano nostra, con la nazionale albiceleste che da perdere aveva davvero poco.

Ma andiamo con ordine.

Carlito Berlocq è un lottatore e, nonostante la famosa “carta” che citavamo poco più indietro, con cuore e cattiveria, prende Seppi e lo strapazza bene bene, senza starsi a preoccupare troppo per l’eventuale ripresa dell’atesino. Anche perchè la ripresa non arriva, e Seppi deve arrendersi senza tante scuse.

Juan Monaco è in caduta libera e non potrebbe essere più lontano di così da quella decima posizione del ranking mondiale acquisita ormai 19 mesi fa. Prova a contrastare Fognini, in occasione del secondo singolare in programma, con la chance di portare l’Argentina sul 2-0. Niente, tutto tace.

Uno a uno, dunque.

E c’è già chi pensa ai vari titoloni, in un senso o nell’altro.

Capitolo doppio: è sabato è l’attesa è tutta per Simone Bolelli. Già, perchè Schwank e Zeballos, non ce ne vogliano i bravi professionisti del team di Jaite, li conosciamo bene, e di certo fenomeni non sono; così come conosciamo Fognini che, proprio insieme a Bolelli, aveva dato vita ad una partnership di doppio che aveva ottenuto ottimi risultati.

Bolelli se ne torna nel team azzurro dopo mesi di stop, da quell’operazione al polso che lo teneva fermo dal torneo di Miami ad aprile.

Se deve ritrovare certi automatismi, ed è normale che più normale non si può, certi colpi il nostro Simone li ha trovati in fretta: colpi ben assestati che hanno fatto la loro benemerita parte.

Dopo il primo, perso, sono tre i set che i nostri mettono in fila per portarsi a casa il secondo, importantissimo punto.

La domenica è arrivata solo per ribadire un successo quasi già scritto dei ragazzi di Barazzutti. Fognini ha chiuso la disputa in 2 ore e 42 minuti; ha perso un set, è vero, ma forse 3 ore sarebbero state un po’ troppe.

Per farla breve, l’Italia passa, e non ha sofferto neanche più di tanto.

E qui entra in gioco tutto il resto.

Non si tratta di guastare feste o di uscire dal seminato, ma semplicemente di prendere meriti e demeriti, come si fa quasi dappertutto, e metterli sulla bilancia; non per criticare aspramente o per usare termini epici quando non se ne vede il bisogno, ma semplicemente per crescere e far crescere.

Cosa possiamo desumere, dunque, dal nostro primo turno?

Fognini è, e probabilmente resterà a lungo, il nostro N.1: da N.15 del mondo e N.1 italiano devi prenderti certe responsabilità e continuare a portarti dietro la carretta. Nessuno pretende chissà cosa per questa Italia, però una via va intrapresa seriamente, e a chi sta lassù in alto, si deve sempre chiedere un po’ di più.

In Argentina, invece, c’è stato fin troppo poco Seppi: se le occasioni per Fognini sono state ben 3, Andreas ha perso il primo match e poi non è più sceso in campo, visto che il buon Fabio ha chiuso i giochi prima del quinto incontro in programma.

Insomma: parabola discendente o semplice periodo “no”?

Non siamo disfattisti, Andreas ha tutto il tempo per riprendersi, e di certo non siamo così miopi da darlo per spacciato dopo una sconfitta.

C’è tutto un quarto di finale per rifarsi.

Già, il quarto di finale…

La dea bendata, accanto al nostro primo turno, aveva messo a contendersi il passaggio del turno U.S.A. e Gran Bretagna; Murray e compagni hanno fatto il resto.

Mentre attendiamo ulteriori informazioni sul prossimo incontro, nella preparazione alle varie partite, il calcolo sembra facile e veloce: Andy Murray si sta riprendendo dall’infortunio che lo ha tenuto fuori dalle Tour Finals 2013 e piano piano tornerà quello schiacciasassi che è sempre stato.

Così come non si dovrebbe giocare più di tanto contro Murray, poco dovrebbe poter fare il numero due britannico James Ward, che non ce ne vorrà, ma da N.156 ATP dovrebbe essere solo una formalità, anche se è vero che nell’ultimo turno ha sconfitto Querrey in 5 set.

Qualora dovesse arrivare il miracolo, in pochi non sarebbero al settimo cielo, ma con ogni probabilità l’incontro-principe della sfida italo-britannica sarà il doppio: Dominic Inglot, classe ’86, e Colin Fleming, ’84, sono i due papabili avversari e, come rodata coppia di doppio, sono temibili almeno quanto i nostri Fognini-Bolelli.

Di tempo per fare ulteriori punti della situazione ce n’è, e per adesso è giusto godersi il passaggio ai quarti e sintonizzarsi sui tornei della settimana, tornando così al tennis individuale e non a squadre o a nazionalità. Tornando così al tennis individuale e non a squadre o a nazionalità. Tornando così al tennis individuale e non a squadre o a nazionalità. Tornando così al tennis individuale e non a squadre o a nazionalità. Tornando così al tennis individuale e non a squadre o a nazionalità.

Tipo “Shining”, per non sbagliarsi…

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