Andy Murray: “Cinque ore sono troppe per un match di tennis”

Ecco perchè dovremmo essere tutti d'accordo con Andy Murray.

In una recente intervista, Andy Murray ha parlato di un tema molto dibattuto nel tennis odierno: la lunghezza dei match. Il giocatore britannico, in particolare, ha posto l’accento sugli incontri che si disputano negli slam, vale a dire quelli al meglio dei cinque set. L’esempio da lui citato è a dir poco eloquente: Wimbledon 2018, Nadal e Del Potro si affrontano per garantirsi un posto in semifinale. La sfida dura cinque set e, dopo una battaglia estenuante, a prevalere è il maiorchino.

Fu un match fantastico, ma decisamente troppo lungo. Andò avanti per cinque ore”.

Queste le parole di Murray, che ha poi aggiunto: “Lo guardavo e pensavo che stesse durando troppo. Quella sera avevo appuntamento con gli amici per una cena ed avevo un evento programmato da tempo. Cancellai tutto. Fu in quel momento che mi resi conto che il tennis dovrebbe cercare di accorciare gli incontri.

Un punto di vista ben delineato che trova riscontro nell’opinione di molti addetti ai lavori e non solo. Sono passati ormai nove anni dallo storico 70-68 al quale diedero vita Isner e Mahut sul campo 18 di Wimbledon. Attualmente, con le modifiche apportate dal tennis moderno, sarà praticamente impossibile assistere nuovamente ad un evento del genere. Come ormai noto, infatti, tra gli slam non c’è uniformità – tutti e quattro i major hanno regole diverse – e solo il Roland Garros adotta ancora la regola del “no tie-break”.

Andy Murray

La verità è che, nonostante la magia e lo spettacolo che può regalare un match combattuto, gli spettatori non vogliono vedere incontri infiniti e, progressivamente, il mondo del tennis se ne sta rendendo conto. Purtroppo, la finale di Wimbledon tra Djokovic e Federer non ha giocato a favore di quest’innovazione dato che i due protagonisti sono stati di fatto “fermati” dal tie-break. In caso contrario sarebbero potuti andare avanti ancora a lungo. E malgrado le cinque ore passate davanti alla tv, in cuor loro gli spettatori si auguravano che il match non finisse così.

Ma davvero due fenomeni avrebbero potuto offrire un bello spettacolo ancora per tanto tempo? Il rischio è di finire come tra Isner e Mahut e tante altre sfide lunghe. Vale a dire con i due giocatori che, ad un certo punto, accusano la stanchezza ed iniziano a trascinarsi per il campo. E magari vince chi resiste di più e sbaglia di meno. D’altronde non è un caso che, al turno successivo nel 2010, Isner abbia conquistato appena sei games.

Il tennis moderno ha bisogno di sfide corte ed avvincenti. Sarebbe ipocrita dire, ad esempio, che il 2 su 3 al posto del 3 su 5 non sia stata una delle scelte vincenti della “nuova” Coppa Davis di Gerard Piquè. I più fedeli alla storia e alla tradizione della competizione potranno avere da ridire, ma la verità è che match più brevi danno vita a molti più scenari. Sembra quasi banale a dirsi, ma i giocatori potrebbero preservarsi e giocare più a lungo. Chissà quando si sarebbe ritirato un mostro di longevità come Roger Federer. Chissà in che condizioni sarebbe arrivato a fine anno Rafa Nadal, che solitamente spende molto a livello fisico nei primi mesi ed arriva scarico agli appuntamenti di Bercy e Londra.

Ancora una volta i fan delle maratone insorgeranno e, a supporto della loro tesi, potranno citare match che rimarranno nella storia come la finale australiana tra Djokovic e Nadal – sfiorate le sei ore di gioco – e l’incredibile vittoria di Nadal a Wimbledon, al quinto set su Federer. La verità è che, a discapito di questi match oggettivamente stupendi ma comunque troppo lunghi, ce ne sono tanti altri sulla breve distanza altrettanto affascinanti. Non serve neppure tornare troppo indietro nel tempo. Alzi la mano chi non si è divertito a vedere la finale delle Atp Finals tra Tsitsipas e Thiem. O la sfida del girone sempre a Londra tra Djokovic e Thiem. O ancora i quarti di finale a Roma tra Djokovic e Del Potro. L’unica differenza è che le ore passate sul divano o davanti alla televisione sono state esattamente la metà.

Insomma, meno quantità e più qualità. E il movimento tennistico non farà altro che beneficiarne.

Tsitsipas e Thiem si abbracciano al termine della finale (Getty Images)
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