Campioni in erba – come i genitori fanno la differenza

Un campione si riconosce fin dalla più tenera età, ma sulla strada per il successo oltre al talento e al sacrificio, giocano un ruolo fondamentale i genitori.

È cosa risaputa che nel mondo dello sport un campione si riconosce fin dalla più tenera età. Ma ci sono sempre delle eccezioni, come certi fiori che sbocciano in ritardo. Il tennis è lo sport individuale per eccellenza, tutto ciò che succede nella metà del campo dipende dal singolo giocatore, ed è per questo che nel tennis forse più che in altri sport, un vero talento si riconosce ad occhio nudo.

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Un possibile futuro campione non è solo quello che ha un’innata predisposizione, è quello che fin da subito ha un particolare impatto nei movimenti, una capacità di capire in anticipo dove l’avversario manderà la pallina, una naturalezza nel rientrare al centro del campo dopo aver colpito, quel qualcosa insomma, che non si insegna e che già si possiede. Ma questa non è che una minuscola parte, oltre alle basi di talento necessarie per poter sfondare, un tennista di professione si costruisce soprattutto con investimento (da parte della famiglia o della Federazione), dedizione e sacrifici.

Questi tre fattori sono legati tanto al tennista quanto al suo team che agli inizi della carriera, nella maggior parte dei casi, è costituito da familiari, spesso proprio genitori; la Federazione fa quello che può, ora molto più che in passato, ma gli aiuti sono comunque destinati a un gruppo ristretto di ragazzi. A tutti gli altri tocca raccogliere quel che si trova, visto che trovare qualcuno che investa sui figli degli altri è quasi impossibile. Per questo è indubbio che le famiglie debbano investire parecchio nel futuro professionale dei propri figli, specie quando si arriva al punto del trasferimento all’estero per frequentare accademie prestigiose, e tutto senza alcuna assicurazione di successo. L’investimento richiesto infatti non è solo economico ma anche personale, un investimento di tempo e di emozioni, e se ci sono genitori in grado di sostenere e supportare in modo sano i propri figli nelle loro scelte e sfide, ci sono anche genitori ingombranti e ambiziosi che spesso esercitano pressioni estreme sui giovani figli con esiti tutt’altro che positivi.

'Wunderkind' Steffi Graf

Il rapporto genitore-figlio è una cosa speciale e completamente diversa da famiglia a famiglia, ma nel mondo del tennis le esperienze e le vite di alcuni giocatori sono state segnate in modo indelebile dalle azioni dei propri genitori; a questo si unisce un ulteriore e pericoloso scoglio, quello del rapporto genitore-coach. Si parla spesso del fatto che i genitori, soprattutto in Italia, interferiscano troppo con i coach e intervengano a sproposito su questioni tecniche facendo solo del male ai propri figli. Dovrebbe essere chiaro che l’esperto è il maestro/coach e non il genitore, e questo anche quando non si è d’accordo con le sue scelte, tuttavia a volte succede che il genitore sia troppo presuntuoso e abbia troppe aspettative.

La storia del tennis mondiale ci offre innumerevoli spunti sull’argomento “padri ingombranti” e si va dai casi più noti come i consuoceri Mike Agassi e Peter Graf, ai papà Sharapova, Dokic, Pierce (quest’ultimo diede il nome alla Legge Pierce nata per sanzionare i genitori violenti) e tanti altri.

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Sì perché se viene naturale pensare che sia cosa buona e giusta che a seguire il figlio ad inizio carriera sia un genitore, meno naturale è pensare che questo potrebbe causare una serie infinita di problemi e drammi ai campioni in erba o presunti tali, specie se il genitore in questione è un fanatico dello sport che brama gloria e un figlio fenomeno più d’ogni altra cosa. Questo però non vuol dire che un giovane talento debba essere abbandonato a se stesso o messo nelle mani di estranei senza una supervisione; il sostegno della famiglia infatti è indispensabile per un giovane giocatore, ma è giusto che tale sostegno sia sano e positivo come ci insegnano altri casi, forse meno mediatici, di genitori che sono stati in grado di costruire una rete di sostegno e protezione intorno ai propri figli, permettendogli di crescere e maturare sportivamente e personalmente, vivendo in modo più sano possibile la loro storia con il tennis.

L’esempio più calzante in merito e forse anche il più scontato è quello dei genitori del re del tennis, Lynette e Robert Federer. Lei, 61 anni e sudafricana, lui 67 e svizzero. Più riservati di Judy Murray, più tranquilli di Sebastian Nadal, e assolutamente imparagonabili ai problematici Srdan e Dijana Djokovic, i genitori di Roger si sono distinti negli anni per la compostezza e la capacità di accettare le sconfitte anche meglio del figlio. Da sotto la visiera di quel cappellino con le iniziali RF che porta sempre così fieramente, papà Robert ha parlato più volte di come sia stato difficile trovare il giusto compromesso tra le aspettative e i desideri del figlio e come lo abbia aiutato nella sua carriera senza fare pressioni.

Un ragazzo dovrebbe sempre fare ciò che gli piace […] Nel mondo del tennis ci sono molti genitori che non riescono ad accettare che i propri figli, probabilmente, non riusciranno a raggiungere grandissimi livelli; questo è sbagliato, dovrebbero essere onesti prima di tutti con se stessi per poi esserlo davvero con loro“.

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Non possiamo fare a meno di chiederci quanto l’atteggiamento di papà Federer abbia influito nell’ascesa del campione… nel dubbio però, i genitori di oggi forse dovrebbero prendere spunto da lui, se non per il suo aplomb impeccabile, per quell’aria così serena e appagata che non può non ispirare simpatia e fiducia, forse per il fatto che è il papà del più forte di sempre!

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