Diario degli Australian Open: giorno 11

Halep-Kerber è la partita del torneo, entrambe finiscono il match in ginocchio stremate dalla fatica. Caroline Wozniacki solida e concentrata, una nuova finale Slam a distanza di anni. Tutto il meglio, ed il peggio, dell'undicesima giornata all'Open d'Australia.

-La partita tra Kerber ed Halep prometteva spettacolo e così è stato.
Le due hanno un gioco molto simile, il cui cardine è dato dalla fenomenale fase difensiva che entrambe utilizzano per cercare, con sempre più costanza, di invertire la tendenza dello scambio passando all’attacco. Un disegno tattico speculare, dunque, che in situazioni normali sarebbe la caratteristica meno utile dalla quale generare emozioni, ma che, se interpretato dalla numero uno al mondo e quella che, dopo Serena, è stata la vera ed unica leader delle classifiche, si tramuta in spettacolo.
La rumena parte subito forte, porta a casa un primo set ottenuto con solidità, al quale la teutonica risponde con coraggio, vincendo un paio di punti chiave con dritti lungolinea tirati da posizioni arretrate derivate da una difesa estrema.
Nel parziale decisivo è una lotta punto a punto, con un primo break della rumena recuperato da Angelique nel nono game grazie al punto più straordinario ed intenso dell’intero torneo, con la tedesca che, dopo l’ultimo rovescio incrociato con il quale trova una riga insperata, si inginocchia al suolo stremata. La Halep ha due match point nel decimo gioco, ma la Kerber getta sul campo il coraggio e con forza li annulla entrambi, fino ad avere, due game, più tardi addirittura un match point a favore, sul proprio servizio. Simona risponde alla curva mancina, poi spinge con il dritto inside-out e accelera di rovescio, un lungolinea che tocca la riga. Entrambe non risparmiano le ultime energie, corrono, picchiano la palla sfidandosi in un corpo a corpo brutale di resistenza e sofferenza.
Nell’ultimo scambio un rovescio esausto esce ed è “game, set and match Halep”.
La tedesca, in conferenza stampa, dirà di essere felice, perché sa di essere tornata dopo un anno, il 2017, orribile.
Simona, alla ricerca di un trofeo che le manca, prenota un altro confronto con quella sua maledetta paura del successo.

–Termina secondo pronostico la parte bassa del tabellone femminile, detta anche “il deserto dei tartari” per la pochezza di interpreti che durante le due settimane ne hanno all’interno intrapreso il percorso.
Caroline Wozniacki ed Elise Mertens si sfidano in una partita inedita, a livello Slam, complice anche una belga che, classe 1995, mai era stata in grado in carriera di superare il terzo turno.
Le due sono una la copia dell’altra, senza un colpo definitivo ma dotate di un rovescio sul quale si appoggiano con facilità.
Sia chiaro, nella ricerca di palla, tra le due, c’è un abisso, ed il motivo è spiegato soprattutto dalla differenza che si nota nella velocità di piedi.
Lo schema, rovescio incrociato-lungolinea è il preferito della danese, che conquista un break ad inizio partita e, senza troppa fatica, tiene i propri turni di servizio. Vince il primo parziale, scegliendo, in sicurezza, di non affidarsi soltanto alla difesa, ma provando persino ad avventurarsi nei pressi della rete dove sembra catturare farfalle piuttosto che giocare volee.
Nel secondo set il copione non cambia, la danese va subito avanti di un break che poi Elise è brava a recuperare.
La belga arriva anche a due set point, che Caroline annulla prima con il servizio e poi con il dritto. Nel momento di chiudere, l’esperienza si fa sentire.
La Wozniacki vince e raggiunge una finale che, oltre ad un possibile primo Slam, varrà per lei anche la possibilità di ritornare al vertice della classifica, posizione che ha sempre sofferto a causa della mancanza di un titolo Major per la quale ha da sempre ricevuto critiche.
I precedenti, contro la Halep, sono a suo favore, sul 4-2.
Il mio tifo andrà per lei, nella speranza che la cerbiatta Caro, già Maestra a Singapore, possa finalmente sbloccarsi.

-Il resoconto della semifinale maschile verrà inserito nel diario di domani, per evitare che la cronaca di Federer, dal preambolo spumeggiante, non soffra della sindrome da abbandono.

Dal vostro cronista è tutto, a domani.

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