Diario degli Australian Open: giorno 8

Serena è la più forte di tutte, nella sfida tra Djokovic e Medvedev ha trionfato la noia. La Kvitova si insinua silenziosa tra le favorite, mentre lo splendido Pouille illumina la platea con il suo superbo talento.

-Doveva essere una finale anticipata. La è stata, anche se andrei con cautela nel sentenziare che, dopo tale vittoria, Serena Williams abbia la strada spianata verso il successo. Petra Kvitova aleggia silenziosa nelle retrovie, ma è ben noto che, se in forma come ultimamente ha dimostrato di essere, la ceca sia una delle interpreti più talentuose che il circuito abbia in dote. Fatta questa dovuta precisazione, rispondo ad un lettore, tra voi, che mi ha chiesto come mai nessuna sfidante di Serena sia mai in grado di farla muovere, permettendole, spesso, di colpire da ferma. La domanda è legittima, d’altronde è chiaro a tutti che, in corsa, l’americana non sia in grado di reggere più di un paio di scambi. Sono quindi tutte indistintamente masochiste per ostinarsi ad affrontare la Williams interpretando un tennis fatto, per la maggiore, di pallate centrali? Ovviamente no, è chiaro. Semplicemente, i fondamentali dell’ex numero uno del mondo, possiedono una pesantezza unica nel panorama femminile. Le avversarie, costrette all’anticipo per non arretrare troppo ed iniziare così un’insostenibile corsa, colpiscono la palla in modo a loro insolito, non riuscendo a trovare sufficienti angoli. Gli scambi iniziano, sempre, con Serena in controllo delle operazioni. Sono convinto che più ancora del tanto decantato servizio, il migliore della storia per tecnica d’esecuzione ed efficacia, l’arma in più da lei messa in mostra sia la risposta, impattata con entrambi in piedi dentro il campo. Da lì, il gioco prende piede. La sfida con la Halep termina al parziale decisivo, dopo un primo set e mezzo nel quale, la differenza di valore tra le due, sembrava essere incolmabile. La rumena, lanciata verso il successo ad inizio terzo, pecca nuovamente di codardia, lasciando che l’americana, scaltra come nessuna in simili situazioni, risorga dallo stato comatoso in cui pareva essere sprofondata, ritrovando continuità e vincenti a profusione. Per lei, al prossimo turno, ci sarà Karolina Pliskova, vincente senza possibilità di replica su Garbine Muguruza. La damigella di Valacchia non lascia che la spagnola tocchi palla. Dalla prestazione odierna, è facile intuire quale sia stato il livello della Giorgi nel match perso di misura due giorni fa.

-Forse sarò io a non capire nulla, ipotesi, in effetti, non troppo improbabile, ma in Medvedev, descritto in telecronaca come fulgido esempio di talento abbagliante, addirittura simile a quel genio incompreso di Fabrice Santoro, vedo solo una smilza sagoma di boria autoreferenziale. Lo dico già da un paio d’anni. Il russo, a mio modo di vedere, è l’interprete più sopravvalutato della nuova generazione. Vedo in lui, come svogliatezza nel gioco ed insopportabile carattere, un degno erede di Bernard Tomic, eletto a paladino degli eclettici scapestrati ed oggi ancora in cerca di potenzialità celate perché inesistenti. Di lui, colpisce la facilità d’esecuzione dal lato del rovescio. È indubbio che, con quel fondamentale, sia in grado di trovare traiettorie notevoli dando l’impressione di non dover impegnarsi troppo. D’altro lato, è dotato di un servizio osannato a dismisura che condivide con tanti altri del quale Djokovic, oggi, non ha fatto fatica a trovare le contromisure e di un dritto piatto preparato con orrifica tecnica che pare steccare ad ogni palla impattata. Sarò sincero, la partita tra Nole e Medvedev è stata tra le più monotone e noiose che io ricordi negli ultimi anni. Scambi di quaranta colpi giocati a ritmo amatoriale (iperbole, per i più permalosi) sulla diagonale di rovescio, tentativi di variazioni con il back che escono alti e flosci dalla racchetta, smorzate comiche ripetute con ostinazione quasi che, i due briosi sfidanti, si sentissero Mecir e, appunto, Santoro. Un supplizio durato un’eternità, dal quale lo spocchioso russo è uscito con le ossa rotte, incapace di reggere fisicamente oltre al secondo set. Ad attendere Nole, apparso rigido e lontano dallo stato di fiducia con il quale imboccò gli ultimi due Slam, ci sarà Nishikori, già tremolante all’idea di affrontare il serbo. Precedenti che, per rispetto del nipponico, non cito nemmeno. Miglior avversario, ai quarti di finale, non sarebbe potuto capitargli.

-Il Divin Pouille, con grazia e leggerezza sopraffine, entra tra i migliori otto estromettendo la forza lavoratrice di Coric. La sfida tra i due coincide con l’eterno ciclo della storia. Da una parte, la grezza ostinazione operaia e proletaria, dall’altra, l’aria quasi snob dell’aristocrazia del talento, di cui il candido è incarnazione diretta. Grazie ad un semplice movimento d’anca, lavora la palla con carezze sinuose. La muove a proprio piacimento, di dritto o di rovescio che si voglia, alternando a celeri accelerazioni vincenti delicati tocchi a rete ed incantati tagli da sotto, che solleticano la pelle di una platea accorsa ad ammirare lo spettacolo ascetico. Quello del francese è un tennis gnostico, dedicato al ludibrio degli eletti che, dopo aver assistito a tale spettacolo ultraterreno, posso prendersi gioco della plebe con occhiate di scherno lanciate con sdegno. Avrà l’onore di affrontarlo, per un posto in semifinale, il fabbro Raonic, che armato di padella mette, di nuovo, in ridicolo Zverev. Il pargolo tedesco, oltre alla pesante sconfitta, colleziona una splendida racchetta frantumata in nove colpi scagliati al suolo. Dilettante. Wawrinka, una racchetta, la rompe appoggiandola delicatamente al ginocchio.

Dal vostro cronista è tutto, a domani.

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