Diario delle Finals: giorno 7

La sconfitta di Federer è una delle più grandi sorprese sportive degli ultimi anni. Dimitrov e la possibilità di una consacrazione attesa a lungo. Tutto il meglio, ed il peggio, della settima giornata alle Finals.

-E dire che, dopo la fine del primo parziale, la semifinale tra Federer e Goffin non sembrava altro che l’ennesima replica di una sfida vista e rivista nella quale il belga recita la parte del suddito impotente al cospetto della supremazia incontrastabile del sovrano malvagio. Un 6-2 che sarebbe potuto essere un 6-1, ma anche un 6-0, ottenuto perlopiù senza il minimo sforzo applicando uno schema tattico preciso e regolare.
Dall’inizio del secondo set in poi, però, il belga cambia inconsciamente passo e anticipa i colpi di Federer, mettendo sempre più in luce le precarie condizioni che lo svizzero, nelle precedenti partite disputate a Londra, era stato in grado di mascherare con mestiere.
Accade tutto silenziosamente, senza che realmente pubblico e giocatori riescano a cogliere gli sviluppi che la trama di gioco inizia a prendere man mano. Un primo break dell’efebico Goffin ad inizio secondo set, un altro ad inizio terzo, ed i rimanenti game a semplice contorno del tutto, con entrambi che, senza patologiche sofferenze, tengono i propri turni di servizio.
La sconfitta di Federer, o la sua mancata vittoria a queste Finals, rappresenta a mio parere una delle più grandi sorprese sportive degli ultimi anni. Roger, su quella che ritengo, a pari merito con l’erba, la sua superficie migliore, immerso in un campo di partecipazione al quale è nettamente superiore, opposto, in semifinale e in un’ipotetica finale, a giocatori contro i quali non ha mai perso.
Il teatro era già stato allestito, il palcoscenico pronto alla grande vittoria. Forse è colpa dell’età, del fisico, del rovescio. O forse è solo colpa sua, e l’incontro di ieri non è stato altro che la sintesi perfetta di tutte le sconfitte patite dallo svizzero in carriera, arrivate per quella sufficienza che, di tanto in tanto, gli ha impedito di ottenere ancor più successi.

-Grigor Dimitrov, nel frattempo, gioca il miglior tennis della propria carriera (simile, per molti versi, a quello di inizio anno che lo portò in semifinale agli Australian Open), e, approfittando di un tabellone che lo oppone ad avversari meno forti di lui, raggiunge meritatamente la finale. Il bulgaro danza sul terreno di gioco, ricordando per feline movenze e preparazione dei colpi il Vate svizzero, colpisce gli avversari e li distrugge, demolendone anche la psiche con recuperi dovuti da un atletismo raro seguiti da prodezze di tecnica e talento. Che bel giocatore.
Comunque, colui che da sempre è considerato una promessa mancata, si dimostra il migliore nello sfruttare con astuzia il Gran Canyon venutosi a formare nel giro di qualche mese all’interno del circuito maschile, con il simultaneo ritiro delle competizioni di quasi tutti i big che nelle scorse stagioni hanno dominato la scena. La finale al Master è seguita dal raggiungimento della terza posizione mondiale, e la partita con Goffin, in uno degli ultimi atti meno attesi negli annali di questa competizione, lo vedrà nuovamente favorito.
Nonostante il belga sia un ottimo giocatore, Dimitrov ha dalla sua più soluzioni e pesantezza di palla, motivo per il quale gli scambi, nel corso del match, saranno spesso nelle sue mani.
Nella sue mani sarà dunque anche l’esito, la gloria e la definitiva affermazione.
Il mio cuore tiferà Grigor, chissà che sia la volta buona.

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