Domani in Scozia si vota per l’indipendenza. Andy Murray: “Non credo vinca il sì”.

“Andy Murray è scozzese quando perde e britannico quando vince”. La battuta del Daily Mirror in perfetto humour inglese rende l’idea del calore e dell’affetto che il popolo d’oltremanica nutre verso il suo campione del tennis. Un rapporto di amore e odio causato da quelle sue origini scozzesi che gli inglesi non hanno mai digerito completamente. Certo, Andy c’ha messo anche del suo quando in occasione dei Mondiali di calcio del 2006 disse che avrebbe tifato “per qualsiasi squadra tranne che per l’Inghilterra”.

Tutto ciò ha inevitabilmente provocato un eccesso di freddezza e distacco, se non anche di critica, nei suoi confronti ogniqualvolta per Andy le cose andavano male. Ebbene, da domani le cose potrebbero cambiare radicalmente. Tra qualche ora, infatti, gli scozzesi saranno chiamati a esprimersi sull’indipendenza della Scozia dopo 307 anni di appartenenza al Regno Unito.

Un referendum che rappresenta un momento storico, agognato da molti scozzesi e atteso sin dal quattordicesimo secolo. Ma i tempi sono cambiati e se nel medioevo la risposta del popolo sarebbe stata facilmente prevedibile, oggi non appare più così scontata. Gli ultimi sondaggi prefigurano la sfida in equilibrio, se non addirittura danno un certo margine di vantaggio al “No” all’indipendenza. Un’eventualità che farebbe rivoltare nella tomba il povero William Wallace che combatté e morì per la causa scozzese e per l’indipendenza.

Ma tornando alle nostre futili questioni sportive, in uno scenario che vede la Scozia non più legata al Regno Unito, l’ironia inglese nei confronti di Murray si ritorcerebbe inevitabilmente contro i più british della Gran Bretagna. Perché il nostro Andy sarebbe e rimarrebbe scozzese nella buona e nella cattiva sorte. E gli inglesi resterebbero senza il loro unico campione. Non avrebbero nemmeno un rappresentante nella top 100 del ranking Atp e con ogni probabilità verrebbero estromessi anche dal World Group di Coppa Davis. In quel caso ci sarebbe ben poco da scherzare nell’All England Club.

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Dal canto suo, Murray, che non è più l’avventato teenager 19enne del 2006, ha saggiamente sempre cercato di evitare di prendere una posizione a riguardo, o quantomeno di non renderla pubblica e tenendola per sé. Si è sempre defilato dalla questione politica fornendo risposte vaghe o imparziali, sostenendo come la sua unica preoccupazione fosse il tennis.

Tuttavia, alcune sue recenti esternazioni hanno mandato in subbuglio gli appassionati della racchetta d’oltremanica: “Qualora la Scozia diventasse indipendente, allora immagino che giocherei per la Scozia”. Una frase che, a dire il vero, appare più assiomatica che politica: se lui è scozzese, è inevitabile che, in caso di indipendenza, giochi per la Scozia. C’è poco da ragionarci, non dipende da lui.

A ogni modo, dopo la sua banale quanto logica affermazione, Andy ha anche sostenuto che a suo parere vincerà il “No” all’indipendenza. “Non credo proprio che vinca il “Sì”, ma se dovesse accadere sarebbe per me la prima volta nella vita in cui rappresenterò la Scozia”. Concetti banali, che dicono tutto e non dicono niente, in realtà. Pronunciati con la prudenza di chi sa che non deve prendere posizione per evitare polemiche inutili.

Concetti che però secondo l’opinione pubblica inglese lasciano trapelare una certa speranza in lui che vinca l’indipendenza. Anche per questo la popolarità di Murray in Gran Bretagna è in netta discesa e gli inglesi, che lo hanno osannato quando un anno fa vinse il torneo di casa, nonché il più prestigioso del mondo, a Wimbledon, sono pronti ad abbandonarlo e a voltargli le spalle nella prossima edizione dei Championships londinesi.

Anche se, nel giugno scorso, come si legge sul “The Scotsman”, il campione britannico aveva affermato di non aver apprezzato il gesto del Primo Ministro scozzese Alex Salmond quando, nella finale del 2013 vinta contro Djokovic, aveva sventolato dalla tribuna d’onore la bandiera scozzese: “Non so per chi preferirei giocare tra Scozia e Regno Unito – disse qualche mese fa – non è un pensiero che occupa la lista delle mie priorità. Ma molta gente dimentica che io gioco per la Gran Bretagna sin da quando avevo 11 anni. Ora ne ho 27, ciò significa che da 16 anni rappresento quell’unica bandiera”.

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Ma la famiglia Murray potrebbe avere un ulteriore grana in casa, oltre che per il caso che riguarda Andy. La madre Judy, infatti, è la capitana della nazionale femminile britannica di tennis dal 2011 e l’eventuale vittoria del “Sì” all’indipendenza potrebbe compromettere la sua carriera da allenatrice. Perché in questo caso non è affatto scontato che rimanga alla guida della squadra in Fed Cup.

Insomma, nel luglio del 2015, quindi a distanza di due anni dalla vittoria da britannico, Andy Murray potrebbe presentarsi con alle spalle una nuova bandiera. E anche alle Olimpiadi di Rio nel 2016 potrebbe arrivarci da detentore del titolo ma rappresentando la Croce di Sant’Andrea e non più la Union Jack. Una vittoria del “Sì” al referendum di domani varrebbe già solo per la curiosità di vedere cosa susciterebbe in casa Murray e nell’All England Club.

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