Il candido bagliore di Roberta Vinci

L'altra sparava, come di consueto, percuotendo la palla già livida ed esausta. Lei sfilettava, ergendosi ad apotropaica paladina del Bene tennistico, cugina di Agnieszka Radwanska, assoluta nemica delle scriteriate padellatrici.

Questa mattina, alle 10, il cielo era grigio.
Una lieve spruzzatina di pioggia, nebbia condensata e schiacciata al suolo, rendeva il tutto ancor più umido e viscido.
Non avevo ancora avuto modo di vedere alcuno scambio dell’intrigante torneo di San Pietroburgo, che a me, malinconico spettatore, non può far altro che ricordare l’ultima vera apparizione dell’angelica Ana Ivanovic, fragile creatura divenuta ormai il passato del brioso panorama femminile.
Completamente immerso nel bigio clima, come d’improvviso apparve un raggio di Sole, tiepidamente caldo, che invase il salone principale.
Seguendo con lo sguardo la divina rivelazione, il mio occhio cadde sul televisore che, quasi adulato, trasmetteva l’incontro di Roberta Vinci.
Opposta a lei, la teutonica compagna del terzino bi-campione Slam, fastidiosa urlatrice compulsiva ed instancabile, che si presenta al mondo sotto il ruvido nome di Andrea Petkovic.
“Aaaaauaaah, aaaaaauuuuah, auuuaaaah”.
Dopo cinque minuti di acustica sofferenza, ho ringraziato con il cuore l’inventore del pulsante “muto”.
La Vinci danzava, catalizzando su se stessa la luce del sempre più pavido Sole, ormai completamente rivelatosi.
Sono uno dei più grandi estimatori del rovescio in back, colpo estremamente sottovalutato ed esteticamente pizzicante. Sapete cosa intendo. Se fatto bene, solletica la pelle, anche a migliaia di chilometri di distanza.
E Roberta scaturiva in me quella sensazione, alternando profondi tagli in diagonale (alla lunga letali per statici pali come la tedesca) ad afrodisiaci attacchi lungolinea, seguiti a rete e conclusi con soffici tocchi al volo, finissimi punte di diamante nel suo sterminato repertorio vintage.
L’altra sparava, come di consueto, percuotendo la palla già livida ed esausta.
Lei sfilettava, ergendosi ad apotropaica paladina del Bene tennistico, cugina di Agnieszka Radwanska, assoluta nemica delle scriteriate padellatrici.
Dopo un’ora e dieci, ero in estasi, palesemente incantato e consapevolmente in trance.
6-4 6-4. Vinci ai quarti di finale.
Dodici mesi fa, proprio in Russia, il torneo finì nella mani della tarantina, che fece il suo ingresso tra le prime dieci del mondo.
Torno alla realtà e valuto la situazione.
Crediamo nei sogni, Roberta campionessa e Halep fuori dalle prime quattromila.
Preghiamo.

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