Il denaro ha ucciso la Davis

I dirigenti della macchina del tennis hanno pensato di offrire ai giocatori, per convincerli ad aderire alla Davis, ciò che a tutti gli effetti può essere definito un ricatto economico.

Nella giornata di ieri, ad Orlando, si è consumato un omicidio volontario, che ha come movente un fine economico sempre più presente, a discapito della morale tanto decantata dai cultori dello sport, all’interno degli uffici dediti all’amministrazione del circuito. Dopo 118 anni di storia, la Coppa Davis subisce una rivoluzione motivata dalla ferrea volontà del presidente dell’ITF David Haggerty di rendere più televisivamente attraente una competizione che ha sempre avuto come motore la passione incontrastata che soltanto una sfida tra nazioni, in uno sport individuale, è capace di conferire. L’approvazione della riforma, votata prevalentemente dagli elettori della federazione americana e di quella francese, renderà la Davis simile ad un banale torneo da disputarsi all’interno di una sola settimana, con 18 squadre ammesse alla fase finale (le 12 vincenti del turno preliminare sommate alle 4 semifinaliste dell’anno precedente ed a 2 wild card). Verranno giocati soltanto tre incontri, due singolari ed un doppio, al meglio dei tre set, con il tiebreak a decidere il parziale decisivo. Le 18 squadre che dovranno contendersi la Davis verranno divise in 3 gironi da 6, dai quali emergeranno poi le sfidanti per la fase ad eliminazione diretta: quarti, semifinali e finale, disputata in una sede unica da individuare in Europa. Un tale stravolgimento di prospettive, effettuato su una delle più antiche competizioni sportive della storia, non merita, visto l’obiettivo con il quale è stato imposto, di ricevere elogi o menzioni di merito. Ancora una volta si è costretti a parlare di soldi, cifre enormi concesse da società di investimenti che nulla dovrebbero avere a che fare con le decisione capaci, per il loro peso specifico, di rivoluzionare la storia e la prospettiva attraverso la quale i giocatori si troveranno ora a dover fare i conti. Kosmos, azienda presieduta da Gerard Piquè, ha permesso di investire nella nuova Davis, in caso di passaggio della riforma, circa tre miliardi di dollari nel corso di 25 anni, ovvero 120 milioni all’anno. La cifra sarà devoluta parzialmente alla competizione riformata, con i 2/3 assegnati ai giocatori presenti in squadra ed 1/3 alle singole federazioni. I dirigenti di una macchina apparentemente perfetta quale il tennis possa essere, accortisi delle difficoltà che la loro più antica competizione palesa da diverso tempo, hanno pensato di offrire ai giocatori, per convincerli ad aderire alla Davis, ciò che a tutti gli effetti può essere definito un ricatto economico. Manager ed imprenditori spostano miliardi pensando che sia il denaro a poter risolvere ogni problema. Lo maneggiano con astuzia e, in virtù di ciò, credono di poter modificare, quasi fossero entità divine scese in terra per trasmettere il Verbo, lo sport secondo le proprie indisposizioni. Conferite punti, alla Davis, invece che imbottirla a sproposito con milioni di dollari, sperando così, facendo sempre più somigliare il tennis ad un monotono gioco televisivo, di attrarre a sé uno stormo distratto di telespettatori ai quali gettare addosso qualche minuto di pubblicità. Semplificare le immagini non attirerà i giocatori che la federazione internazionale spera di poter coinvolgere. La Davis può essere risollevata e riportata ai fasti di un tempo soltanto rendendola realmente, come merita di essere, un torneo a tutti gli effetti, che oltre ad un misero montepremi conceda anche, e soprattuto, punti ATP. Non saranno i soldi a far risplendere il lustro della competizione che un tempo infiammò i palazzetti grazie a sentite ed indimenticabili sfide folcloristiche. Capire questo, prima ancora di strappare assegni bianchi, è ad ora l’unico modo attraverso il quale sperare in una rivoluzione concreta ed efficiente. 

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